ItaliansBookitBetter incontra Sara Mazzini

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Nome Sara

Cognome Mazzini 

Nato a Poggibonsi (Siena) nel 1980modificata

Riviste CrapulaClub, Verde Rivista, Neutopia, Guida42, Senzaudio, Microtales, Auralcrave, RAMINGO!, MAZ e il libretto di Typee

Libri Centinaia di inverni. La vita e le morti di Emily Brontë (Jo March, 2018)

Segni letterari precisione, accuratezza, linguaggio che ricalca perfettamente il personaggio e la storia che si sta raccontando, ricerca e sperimentazione, attenzione al dettaglio, caratterizzazione psicologica personaggi che permette di sondarne ogni sfaccettatura.

Citazione 

“Capii di avere una missione, e che dovevo scrivere. Che fosse un dovere e non un semplice capriccio lo capivo dal modo in cui gli spiriti dei poeti estinti comunicavano con me attraverso le parole, come se avessero lasciato i loro codici affinchè io potessi scoprirli e decifrarli, per contribuire all’opera che ogni autore raccoglie dalla generazione precedente e che trasmette a quella successiva, fin dal tempo in cui la prima linea venne incisa sulla pietra.”

da “Centinaia di inverni. La vita e le morti di Emily Brontë”

IBIB Ti andrebbe di raccontarci come nasce l’idea di “Centinaia di inverni” e come è avvenuto l’incontro con la casa editrice Jo March?

SR Credo che tutto abbia avuto inizio nel 2011: l’anno in cui ho scoperto l’esistenza di un nucleo di appassionati di letteratura inglese dell’Ottocento che regolarmente si radunava a Riccione sotto l’egida del “Club Sofa And Carpet” di Jane Austen – con tanto di rievocazioni storiche e veri e propri balli Regency! Lo stesso anno, nel corso del convegno, sono venuta in contatto con la nascente realtà della casa editrice Jo March, che si era assunta il compito di tradurre i classici inglesi ancora assenti sul mercato italiano – ricordo che l’esordio fu con “Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell, di cui era appena uscita una miniserie a cura della BBC ma non esisteva il libro in italiano. Un’impresa, quella promossa da Lorenza Ricci e Valeria Mastroianni, che si è guadagnata all’istante la mia ammirazione, ricordandomi quella compiuta nel secolo scorso da Fernanda Pivano con i capisaldi della letteratura americana.
Nel 2016 un altro membro del Club, Noemi De Santis – a cui il mio romanzo è doverosamente dedicato –avendo letto e apprezzato alcuni miei saggi apologetici su “Cime tempestose”, mi ha invitato a tenere una conferenza presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Per me è stato un grande onore, oltre che una grande emozione. Sono arrivata direttamente da Monaco, a bordo di un treno notturno. Non mi ritenevo in grado di parlare di Emily più di quanto non lo fosse ciascuno degli intervenuti, motivo per cui la conferenza si è trasformata presto in un prolifico dibattito. “Centinaia di inverni” è nato quel giorno: dal confronto e dall’interazione con un pubblico incredibilmente partecipe e appassionato – così come “Cime tempestose” non sarebbe mai esistito se Emily Brontë non si fosse lasciata attraversare da tutte le voci che avevano animato il villaggio di Haworth e la sua amata brughiera.

IBIB L’esperienza in Crapula e con le altre riviste si è rivelata utile ai fini del romanzo?

SR La mia storia personale e quella del mio libro sono un po’ anomale, in quanto nel momento in cui sono approdata alle riviste, sia in qualità di autrice che di redattrice, avevo già trovato un editore. Avevo le idee molto chiare sulla collocazione di “Centinaia di inverni” e ne ho inviato la bozza soltanto a due case editrici: una delle due era appunto Jo March.

IBIB Nel romanzo racconti la vita di Emily e della famiglia Brontë. Una biografia in cui in maniera molto personale ti fai voce di Emily e dei suoi tumulti. Emerge chiaramente il lavoro di ricerca che c’è dietro ogni pagina.

SR Mi fa piacere che si noti. La ricerca è stata la parte più appassionante di tutta la faccenda. Non solo quella che ho compiuto spostando il mio corpo fisico da un punto x alla cittadina di Haworth, Yorkshire (dove ho dormito in una stanza minuscola infestata da cianfrusaglie e da un gatto, ho assistito ai crepuscoli più lunghi della mia vita attraverso una finestra assediata dagli uccelli, ho capito di non capire l’inglese, mi sono persa nella brughiera, sono fuggita da un caprone), ma anche quella che mi ha tenuto inchiodata a una sedia tra le otto e le dieci ore al giorno per un anno, a cercare di mettere insieme una trama sensata e coerente attraverso il reticolo di biografie ufficiali e ufficiose, romanzi noti e meno noti, documenti catastali, bollettini meteorologici e assurdi documenti in pdf, tutti rigorosamente in lingua inglese. Mi sono immersa così a fondo nella vita di Emily e della famiglia Brontë che, a un certo punto, mi è parso che il libro incominciasse a scriversi da sé.

IBIB Nel tuo libro scopriamo il rapporto viscerale che Emily ha con la scrittura, il suo preferire molto spesso le storie e le sue fantasticherie alla realtà. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

SR Hai detto bene: viscerale. Lo stesso che ho con il mio fegato, o i miei reni. È una parte di me. Non sempre mi accorgo di usarla, ma questo non cambia che sia costantemente in funzione. A volte si infiamma, e fa male. Ma se dovessi privarmene sarei un individuo difettoso, o morto.

IBIB Una delle cose che mi ha molto colpito è la vicinanza con la morte che ha Emily. Non solo per la perdita della madre e delle sue care sorelle quando era ancora una bambina, ma anche per la sua capacità di ascoltare i fantasmi, la fascinazione per i luoghi e l’amore totale per poeti non più in vita (su tutti Shelley).

SR Non so dirti veramente quanto tutto questo appartenga a Emily o a me. Di certo, il fatto che “Cime tempestose” si apra sull’immagine di Catherine che è già morta, del suo fantasma che bussa alla finestra, mi è parso determinante. L’intera vicenda di Catherine non è narrata da lei stessa, bensì dalla sua governante (ovvero: qualcuno che l’ha conosciuta da molto vicino ma che non è lei, non può pensare né sentire come lei, ma solo riportarne una versione personale), e il racconto della governante ci è riferito a sua volta dal nuovo inquilino della casa che i Linton hanno lasciato vuota (ovvero: un perfetto sconosciuto, pronto ad accogliere quella versione come buona e a lasciarsi cambiare da essa). Si tratta di un espediente che Emily Brontë ha utilizzato per ricreare la tradizione orale che nella prima metà del XIX secolo era ancora il veicolo culturale predominante nella sua terra natale, dove, «tra gli abitanti di un’altura e quelli dell’altra non vi era alcuna forma di comunicazione, tanto che le stesse canzoni popolari erano attribuite a fonti differenti e la correttezza dei loro testi poteva essere oggetto di dispute feroci». È un estratto del mio libro, ma a mia volta l’ho mutuato dalle parole di un signore inglese che, molto generosamente, mi ha avvicinato una sera mentre cenavo da sola in un pub, per omaggiarmi di un po’ del suo sapere. Adesso anche lui fa parte di me, come tutte le persone che mi hanno attraversato. Credo che l’animo umano sia il luogo degli spiriti per eccellenza.

IBIB Anche se il romanzo e i racconti pubblicati sulle riviste presentano degli stili molto diversi tra loro, mi azzardo a trovare come punto in comune l’inadeguatezza al vivere dei tuoi personaggi. Lo scarto tra quello che sono e che sentono e quello che gli altri per convenzione vorrebbero che fossero.

SR È un buon azzardo. Ne ho discusso di recente con Emanuela Cocco, nel corso della nostra serata da Tomo, e sono giunta alla tua stessa conclusione. Tutti i miei personaggi sono diversi da quello che sembrano, o sembrano diversi da quello che sono. In relazione al fatto biografico ho un dialogo aperto, al momento, che mi sta portando a riflettere sulle ragioni di tutto questo. Ha a che fare con le responsabilità che un autore si assume scegliendo di trattare un soggetto reale – che sia un altro autore, vissuto o vivente, o chi per lui. In quanto all’insofferenza per i ruoli convenzionali, credo che sia il frutto inevitabile di un’educazione borghese, bigotta e patriarcale su una mente particolarmente inquieta, affamata e curiosa. Un’altra donna eccezionale che amo molto citare è Patti Smith: «Per tutta la vita ho cercato di essere libera». I miei personaggi sono tutti come me.

IBIB Secondo te dove si collocano le riviste nel panorama culturale italiano?

SR Non mi sento molto a mio agio nel rapportami col panorama culturale italiano: non credo di conoscerlo davvero. Sono entrata nella redazione di CrapulaClub perché Antonio Russo De Vivo, Alfredo Zucchi e Luca Mignola hanno creduto nelle mie capacità di editor: tutto qui. Capacità che devo in larga parte a Elvira Grassi e a Oblique Studio – avrai capito che mi piace fare nomi e cognomi di tutte le persone che hanno contribuito
alla mia formazione: sono parte di me. In seguito tra noi (cioè me e i direttori di CrapulaClub) si è sviluppato un dialogo incredibilmente ricco, che ha generato delle isole autonome di pensiero ancora in fase di sviluppo. In questo senso, quella della redazione è un’esperienza che consiglio a chiunque intenda cimentarsi seriamente col lavoro intellettuale. Non so se tutto questo risponda in qualche modo alla domanda che mi hai posto.

IBIB Hai raccontato di Emily Brontë e sei membro della Brontë Society di Haworth. Perché oggi bisogna continuare a leggere Emily Brontë?

SR Per la stessa ragione per cui dovremmo continuare a tramandarci la saggezza delle nonne, o le vecchie storie di famiglia. Per impedire alla morte di divorarsi la vita.

IBIB Progetti futuri? 

SR Continuare a crescere, a imparare, ad arricchirmi intellettualmente e spiritualmente. Non fare del male a nessuno. Rimediare a qualche errore. Fare l’amore. Viaggiare.
Su tutto, progetto di fare progetti.
E poi, certo, scriverò.

Grazie Sara! 

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