Nome Azzurra
Cognome de Paola
Nata a Roma nel 1985
Riviste Reader For Blind, Spaghetti writers,
Altri animali, La macchina sognante
Libri Benedizione per la bassa moltitudine (Le voci della luna 2012)
La verità è un mondo terrificante (L’arcolaio edizioni 2014)
Il peso minimo della bellezza (LiberAria 2016)
Segni letterari stile asciutto e crudo, la violenza dei rapporti, nessuna ricerca di moralismi o giustificazioni, terrificanti urla di dolore, una voce autentica e riconoscibile, parole che lasciano segni visibili sulla pelle e nell’anima, pensieri cattivi senza filtri, personaggi portati al limite e spogliati di ogni sovrastruttura.
Citazione
È proprio questa la lezione che volete insegnarmi? Vuoi dirmi che nella vita bisogna scegliere quello che ci fa meno paura, in cui si rischia di perdere meno, una serenità insipida, piuttosto che una felicità autentica per evitare di farsi male o che vada tutto a puttane per un motivo da niente e pentirsene per il resto della vita? Vuoi dirmi che è preferibile una noiosa certezza piuttosto che provare e, in caso di errore, rialzarsi e riprovare ancora altrove con altri? Le tue lezioni di vigliaccheria. Le lezioni di martirio. In nome di un bene superiore, s’intende
da “Il peso minimo della bellezza”
IBIB Com’è presente la scrittura nelle tue giornate?
AdP Purtroppo in Italia non si vive di scrittura e il lavoro comunemente inteso sottrae molto tempo a questo mestiere che viene considerato ancora un hobby nel 2018, alla stregua di chi impasta fimo per farci gli orecchini e di chi ricama all’uncinetto. Scrivo quando riesco e quando ho qualcosa da scrivere, non ho nessuna ansia o fretta, tanto i miei pensieri sono sempre lì, nella testa, a portata di mano. Prima di arrivare a scrivere penso a quello che voglio raccontare e lo strutturo; quasi nessuno dei miei scritti è “di pancia”, spontaneo, ma di testa: focalizzo quello che voglio dire e dove voglio arrivare, e poi ci arrivo. Fin da piccolissima ho sempre scritto, a nove anni ho iniziato con le poesie e poi ricordo che da sempre ho manipolato la realtà, inventavo situazioni inesistenti e le mettevo nella routine di tutti i giorni. Ogni cosa che mi succedeva veniva deformata dalle interferenze fantastiche, e niente era solo ciò che era: mia madre diventava ora un’affitta camere, ora una matrigna cattiva, altre volte ancora la maga del villaggio, lo stesso per mio padre o per i miei cani e i miei gatti, che diventavano vere e proprie persone con una loro storia, un loro carattere, con cui interagivo in modo umano. Sono cresciuta in una grande città con due genitori che lavoravano; con mia madre ci siamo spostate spesso per seguire mio padre in altre città o in altre nazioni o in altri continenti, e per questo sono stata una bambina abbastanza sola. Inventavo di tutto, e scrivevo tutto quello che mi passava per la testa. Raccontavo delle storie che un po’ erano la mia vita vera e un po’ no. Forse all’inizio era un gioco ma poi con gli anni è diventata una caratteristica del mio essere, trovo inimmaginabile rapportarmi alla realtà soltanto in modo “reale”, vivendo una sola vita alla volta.
IBIB Nel “Peso minimo delle bellezza” indaghi il rapporto madre-figlio rifuggendo dal luogo comune di amorevolezza e tenerezza. Nel tuo libro racconti di un rapporto spigoloso e pieno di rabbia. È un libro molto forte e a tratti straniante proprio perché va ad infrangere la narrazione classica a cui siamo abituati. Parlaci della genesi di questo libro
AdP Il Peso Minimo è nato in un periodo di isolamento linguistico: mi ero appena trasferita a Zurigo, mio figlio aveva due anni e non conoscevo nessuno, non avevo amici né parenti e non parlavo tedesco; mi sono trovata a passare tutte queste ore con un bambino piccolo, senza contatti con l’esterno e ho iniziato a pensare a che tipo di ripercussioni potesse avere questa condizione sullo sviluppo e l’educazione di mio figlio. Da qui sono partiti i pensieri esasperati su ogni situazione che mi sono serviti per sondare le estreme conseguenze di azioni apparentemente quotidiane e innocenti. È stato abbastanza facile esasperare le azioni più comuni perché quando ci si trova in isolamento, ogni evento viene amplificato senza la mediazione degli altri: il corpo delle altre persone, la loro voce, la loro idea, ci ridimensiona, rimpicciolisce la soggettività, impone al nostro ego di avere dei limi, dei confini, quantomeno corporei. Nella solitudine, questo limite viene a mancare: l’ego straborda, esce fuori, fa quello che vuole perché non ci sarà nessuno a dirgli di fermarsi. Forse la legge ma, come Kafka ci insegna, la legge è lontana, ineffabile, laggiù. A quel punto ho preso dei sentimenti che tutti spacciano per naturali, ancestrali e assodati, e gli ho chiesto: siete davvero elementari, come la fame o la sete? Fare la madre è davvero naturale come respirare o ingoiare? Quanto c’è di genetico, che componente psicologica c’è nella maternità? Quanto conta l’educazione ricevuta a mia volta? E le esperienze, le aspettative, le ferite che non sono riuscita a curare? Ho studiato alla scuola di Pierce e Locke, per me l’intenzione del parlante incide in modo totale sulla semiotica delle parole; così per le azioni, così per tutto.
IBIB Mi ha sempre incuriosito il rapporto tra la scrittura e le altre arti. Le suggestioni che possono creare un film o una canzone e che poi lo scrittore cerca di ricreare con le parole nei suoi lavori. I tuoi lavori sono “contaminati” dalle percezioni che creano altri artisti? In particolare ci sono ne “Il peso della bellezza”?
AdP Nel periodo dell’università scrivevo per un paio di giornali che si occupavano di cinema e negli ultimi anni di studio mi sono specializzata nel ruolo del linguaggio nel cinema. Posso dire senza dubbio che l’arte che più mi influenza è quella cinematografica, e più in generale quella che vive di immagini, che oltretutto è il modo in cui, non solo scrivo, ma anche penso: io penso per immagini. Sono una visionaria, nel senso letterale della parola. Mi viene allora in mente la pop art, il surrealismo di Dalì, l’anarchia letteraria di Bataille o Breton, le derive linguistiche della Beat Generation. Del liceo ho pochi ricordi (qualcuno ben più illustre di me ha detto che la cultura è ciò che rimane dopo aver dimenticato tutto) ma una cosa è chiara come se l’avessi studiata ieri: idea. La parola idea viene dal verbo greco orao che significa vedere e la cui radice è id, idea significa vedere con la mente. Per me la vista è una parte fondamentale nel processo creativo, e anche in tutti gli altri processi. Dalla vista si apre una matrioska di pensieri, uno nell’altro, e gli occhi, di tutti i miei sensi, sono quelli più avidi: continuamente cercano nuovi orizzonti, nuovi input. Dagli occhi partono tutte le insofferenze, da quelle geografiche a quelle corporee, la necessità di cambiamenti continui e la ricerca faticosa (lo ammetto) di nuove cose da vedere.
IBIB I tuoi racconti sono stati pubblicati da alcune riviste online. Come vi siete avvicinati? E com’è stata come esperienza?
AdP Ho pubblicato alcuni racconti online quando mi è stato chiesto e mi piaceva l’idea di uscire in questa forma che mi ha costretta ad essere sintetica. Ho una raccolta già finita,che non ho ancora proposto ad editori o agenti per mancanza di tempo, dove sono riuscita a sperimentare un formato che mi piace, che si concilia bene con la mia pigrizia, è stato bello riuscire a far entrare i pensieri nello spazio di poche battute. Breve ma intenso, come ogni cosa dovrebbe essere in questa vita. I racconti pubblicati e quelli che sono nella raccolta sono stati pensati per un numero di pagine ridotto, quindi il loro target è diverso: mentre con la poesia o con il romanzo vado a sondare situazioni quotidiane viste al negativo (per usare un termine preso in prestito dalla fotografia), con il racconto cerco di creare fratture immediate, un prurito che non deve necessariamente trovare soluzione.
IBIB Sia nel tuo ultimo libro che nei tuoi racconti su Reader For Blind e su Spaghetti writers hai uno stile molto duro e usi un linguaggio forte per indagare i limiti dei tuoi personaggi. Situazioni che si reiterano e si accettano passivamente fino al punto di rottura in cui qualcosa esplode e cambia tutto. I limiti dell’umano sono una cosa che da lettrice mi ha sempre incuriosito e mi sono spesso chiesta come vi si approccia uno scrittore
AdP Non ho idea di come sia per gli scrittori, di come si approccino ai concetti più estremi. Ho anzi l’impressione, da alcune cose lette, che molti non approccino affatto a questi limiti. Per me non è una ricerca artistica o una questione letteraria, ho vissuto così tutta la vita. Spesso durante le presentazioni o in qualche discussione con persone ben più colte di me mi sono trovata ad analizzare il mio stile, il perché di tanta crudezza, a giustificarne la sfrontatezza. La gente mi chiede come mai, mi dice: Ma proprio tu con questa faccia carina. Il fatto è che per me non è un esercizio stilistico. Io sono quella che leggete. Vivo, ragiono, mi rapporto al mondo in questo modo, chiunque mi conosca lo sa. Mi piace portare le situazioni alle estreme conseguenze per spogliare la verità di tutti i fronzoli con cui viene abbellita; mi piace andare al nocciolo, senza cercare delle belle parole per dirlo. Semplicemente esprimere le cose per quello che sono, chiamarle con il loro nome e vedere che effetto fanno, a cosa portano, chi sono le persone al di là di tutte le sovrastrutture sociali, morali ed economiche. Cerco, nella vita e nell’arte, il cuore pulsante di tutto, perché solo quello mi suscita un briciolo di interesse e mi fa pensare che valga la pena di incomodarsi. Mi è connaturato questo modus vivendi, e non è una scelta; pretendere qualcosa di diverso dalla mia scrittura o dalla mia persona sarebbe come chiedermi di diventare più alta o di avere le orecchie più lunghe.
IBIB Quest’anno il Premio Nobel non verrà assegnato. Ti propongo un gioco: sei un membro dell’Accademia di Svezia a chi lo assegni e perché?
AdP Da quando Obama ha vinto il Nobel per la pace e poi ha massacrato tutti quei mediorientali, per il me il concetto stesso di Nobel ha perso di valore. Però se dovessi assegnare a qualcuno quello per la Letteratura, se ancora avesse un senso un qualsiasi riconoscimento a questo mondo, se fosse davvero frutto di un merito e non di una commistione con qualche gioco di potere o logica di mercato, allora lo assegnerei a Fleur Jaeggy. Quello che amo e trovo meritevole nella sua scrittura, in questi anni di improbabili femministe, è lo stile nordeuropeo senza isterismi, senza piagnistei. Asciutta e scarna. Leggere uno qualsiasi dei suoi testi è come rimanere in apnea, non tanto per la crudezza o lo scalpore degli argomenti, quanto piuttosto per l’incedere lentissimo, il soffermarsi su ogni più piccolo e apparentemente inutile dettaglio della vita e aprirlo, guardarlo, capirlo, sviscerarlo senza riprendere fiato. In una sua intervista ha dichiarato di amare il vuoto e l’assenza di relazioni: non avrei saputo definire meglio la sua arte. La chiamava “insofferenza introspettiva”, disamorata dalla sua immagine fin dagli anni delle sfilate, “attraversata dall’insonnia”, parla di sé con molta chiarezza, semplicità, senza stare a cercare definizioni troppo pompose. Mi piace perché trovo una certa coerenza tra la donna che dice di essere e la scrittrice che viene fuori dalle sue pagine. Mi fido della coerenza.
IBIB Consigli ad un giovane scrittore
AdP Consigli a un giovane scrittore? Gli direi quello che all’inizio della mia carriera, se così vogliamo chiamarla, è stato detto a me: quando hai finito di scrivere, butta tutto e ricomincia finché non è degno di essere letto, perché questa è l’unica cosa che conti, fare un buon lavoro, essere degni di lettura, meritarsi il proprio libro. Mi rendo conto che in talune circostanze o con scarsa esperienza, non sia sempre facile capire a che punto un manoscritto è meritevole di lettura ma sono sicura che ognuno di noi sa quando ha dato il meglio di sé, quale che sia. Quando di più non si poteva fare, quando ogni cosa è stata valutata da tutti i punti di vista, quando non ci si è accontentati di una sola parola, allora a quel punto bisogna saltare. E direi anche, a un giovane ma anche ad un anziano scrittore, di non pagare per la pubblicazione ma fare in modo che siano gli altri a pagare per i nostri scritti perché se vai dal medico, dall’avvocato, dal falegname o dal pescivendolo non puoi pagare il suo lavoro in “notorietà”, in promesse di gloria. Se il tuo lavoro è buono, pretendi che ti venga riconosciuto e pretendi che anche gli altri, tutto il collaterale che c’è intorno alla pubblicazione di un libro, facciano il proprio. L’editoria di oggi è in molti casi avvilente come altri ambiti lavorativi, le logiche editoriali sono spesso contorte, macchinose o soggette a logiche terze, il pericoloso accostamento tra letteratura e cultura di massa sta generando ibridi editoriali che influenzano e pilotano la scelta dei futuri scrittori. Avere una propria nicchia di lettori, trovare la propria voce letteraria e riuscire a muovercisi in maniera disinvolta è un privilegio che viene concesso a pochi. Fin qui devo dire che il mio è stato un percorso fortunato: sono stata scelta e non sono stata mai costretta a propormi, a vendermi, anche perché lo avrei fatto molto male e non sarei arrivata da nessuna parte. Trovo che il piano marketing di cui molti scrittori sono provvisti sia del tutto irrilevante ai fini della qualità del loro lavoro e non mi pare possa considerarsi un criterio di giudizio: essere bravi a farsi pubblicità non ha niente a che fare con il talento nella scrittura. Si chiama appunto Pubblicità, che compete ad altre figure professionali, quali gli agenti. E concludo dicendo questo ai giovani scrittori: non frequentate corsi di scrittura creativa dove qualcuno fingerà di insegnarvi a scrivere. La scrittura, come la pittura e la musica e la scultura, non si imparano. Di certo si affinano delle tecniche, si matura, si cresce ma non si impara. Un bambino chiede a Mozart come si fa a scrivere un sonetto a nove anni, e lui risponde che se ha avuto bisogno di chiederlo allora è del tutto inutile spiegarglielo. Non si diventa Mozart, nemmeno nella scrittura.
IBIB Progetti futuri?
AdP Ho finito il mio secondo romanzo, l’ho mandato ad un agente ma per impegni lavorativi sono costretta a posticiparne l’uscita, non potrei rispettare una scaletta di presentazioni e non ho nemmeno tempo di confrontarmi con un editor. Diciamo che la prima stesura è completa e io sono pronta, non appena ci sarà occasione il libro uscirà, inizierà a vivere fuori di me. Non voglio fare anticipazioni perché sono molto scaramantica però una cosa posso dirla: sarà diverso da Il Peso Minimo. Se in quest’ultimo c’era una nota di lirismo, una sublimazione dei sentimenti, perfino quelli più cupi, nel nuovo tutto questo sarà sostituito da una crudezza totale, asettica, nuda. Il nuovo romanzo non darà nessuna attenuante ai suoi protagonisti, non ammiccherà, non cercherà di scusarsi facendo ricorso a qualche modernissima teoria psicologica per giustificare le proprie azioni. Direi imperdonabile, sarà un romanzo imperdonabile.
Grazie Azzurra!
qui la mia recensione de “Il peso minimo della bellezza”