Copertina di ItaliansBookitBetter incontra Andrea Zandomeneghi

ItaliansBookitBetter incontra Andrea Zandomeneghi

Nome Andrea_1908737

Cognome Zandomeneghi

Nato a Capalbio (Grosseto) nel 1983

Riviste Narrandom, Verde Rivista, CrapulaClub

Antologie ODI. Quindici declinazioni di un sentimento (EffequAnatomè dissezioni narrative (Edizioni Ensemble) 

Libri Il giorno della nutria (Tunué 2019)

Segni letterari linguaggio sofisticato, pungente ironia, ossessione, l’osceno che celiamo, la fede e le grandi questioni esistenziali, l’abuso della mente sul corpo, il conflitto, contaminazioni tra cerebrale e quotidiano, stato di tensione che tiene incollato il lettore in attesa di risolvere “la sciagurata vicenda”. 

Citazione 

“Io so qual è per te il senso della vita.”

“Sì?”

“Sì.”

“E quale sarebbe?”

“Le

occhiaie.”

” Lo hai letto su animalismoevegetarianesimo.com?”

“Idiota. Sei ultrapolarizzato: ogni cosa che ha un senso o dà senso è occhiaie per te. Se passi la notte a leggere Balzac, avrai le occhiaie, se vai in delirio con venti ore di serie televisive, se bevi una boccia di rum in terrazzo. Avrai le occhiaie. Se un giorno stai a digiuno. Se tutta la notte scopi e non dormi, avrai le occhiaie. Per te ciò che non produce occhiaie è ordinario, profano, non-io, alienazione, essere vissuto, insignificante, oblio, nulla. Se non hai capito questo, sai ben poco di te stesso.”

 

da “Il giorno della nutria”

 

IBIB Com’è avvenuto l’incontro con Tunué?

AZ Mi sono imbattuto in Vanni Santoni molti anni fa, per caso, quando uscì il suo “Gli interessi in comune”. Mi piacque enormemente, così lessi tutto quello che man mano andava pubblicando. Lo conobbi di persona frequentando un suo corso di scrittura a Firenze, fu allora – io ero completamente estraneo alla bolla letterarie ed editoriale – che sentii parlare per la prima volta di Tunué. Lessi Funetta e Incretolli e poi man mano gli altri autori del catalogo. Durante il corso Santoni mi disse che il romanzo che stavo scrivendo poteva interessargli. Passò più di un anno prima che arrivassi a una conclusione provvisoria (che poi ho stravolto). Poi chiesi a Francesco D’Isa la cortesia di leggere il testo, molto gentilmente lo fece e mi disse che secondo lui c’erano delle potenzialità, ma che necessitava di un robusto lavoro di editing, aggiunse anche che Santoni sarebbe stato l’ideale a questo scopo. Fu così che inviai il romanzo a Tunué.

IBIB L’esperienza in Crapula si è rivelata utile ai fini del romanzo? Come?

AZ L’esperienza di Crapula è stata sicuramente fondamentale ai fini del romanzo, per quanto avessi iniziato a scriverlo circa quattro anni prima di entrare nella rivista; ma probabilmente senza Crapula non sarei stato in grado di ultimarlo e revisionarlo. Anzitutto è stato essenziale il rapporto con gli altri condirettori, a ciascuno dei quali ho rubato qualcosa. Da Russo De Vivo ho imparato il rigore e la professionalità – da intendersi come il contrario del dilettantismo – nel lavoro sul testo. Da Zucchi ho imparato a gestire il connubio tra narrazione ed elementi intellettuali. Da Mignola ho imparato come utilizzare in modo esteticamente valido i materiali della cultura classica. Crapula è stata poi importante per altri motivi: perché mi ha connesso con la letteratura contemporanea italiana (io prima leggevo quasi solo classici e letteratura straniera, snobbando scioccamente le patrie lettere); perché m’ha dato l’occasione di confrontarmi in modo operativo con la scrittura altrui; perché l’editing continuativo sui racconti m’ha cresciuto e reso più smaliziato.

IBIB Grande protagonista del romanzo il cervello. Prende tutto lo spazio nella storia, è raffigurato in copertina e nel retro copertina (fighissimi i cervellini stilizzati). Per Davide il mondo interiore è brulicante mentre quello fuori è sciatto e abitudinario. Un cervello mai a riposo che prende il sopravvento sul corpo e lo domina anzi lo mette a dura prova con la cefalea tanto che Davide arriva ad identificarsi con essa.

AZ Sì, il cervello è un elemento dominate e hai riassunto benissimo il perché. Per questi stessi motivi abbiamo deciso di metterne uno in copertina, inizialmente eravamo indecisi tra una bottiglia di vino e un cervello, poi il secondo ha prevalso.

IBIB Tra i sentimenti che indaghi sia nel romanzo che nei tuoi racconti pubblicati c’è l’odio. L’odio verso sé stessi, l’odio verso la madre (assolutamente reciproco), l’odio verso un determinato modo provinciale di pensare, l’odio verso chi sembra vivere con maggiore facilità rispetto alla nostra, l’odio verso alcuni ambienti culturali. Un sentimento poco indagato nei libri ma più che mai presente nella nostra quotidianità.

AZ L’odio è particolarmente forte nell’invettiva di Davide contro gli atei, gli agnostici e i credenti, tant’è che termina con «la peste alle vostre famiglie». Per il resto non parlerei tanto di odio quanto di conflitto (questo vale anche per il racconto pubblicato nell’antologia Odi) e il conflitto è la base di tutta la letteratura occidentale a partire da Omero. Anche il rapporto con la madre, caratterizzato da un mutuo disprezzo, non credo sia fondato sull’odio.

IBIB: Nonostante usi un linguaggio spesso “pomposo” per raccontare lo strano caso del ritrovamento della nutria il romanzo è fortemente ironico. C’è una verve di fondo che sembra burlarsi dei protagonisti e del loro prendersi troppo sul serio.

AZ L’ironia è uno dei tratti caratterizzanti del romanzo, lo stesso «linguaggio pomposo» non è che una sua manifestazione. Il testo di base è grottesco, ma ci sono anche momenti spiccatamente comici o addirittura slapstick come la serie di colpi in testa che prende Davide. Don Stefano poi ad esempio è costruito come personaggio quasi integralmente comico col suo scrivere lettere a tutti gli autori che legge e con la sua battaglia legale contro il padre di Davide.

IBIB Nei tuoi racconti come nel libro emerge uno sforzo enorme dei tuoi protagonisti ad essere fedeli a sé stessi. Una sorta di vergogna a svelarsi per ciò che si è realmente.

AZ I miei personaggi tendono ad essere molto verbosi, a esplicitarsi in modo torrenziale, a fornire interpretazioni dei propri comportamenti e dei propri pensieri. Basti pensare a Davide – protagonista del romanzo – che non solo si pone ed è rappresentato come un’immane macchina ermeneutica, non solo è raccontato in prima persona, ma è caratterizzato anche dal ricorso a suoi testi – quella sorta di suoi diari spirituali che consulta – che irrompono nella narrazione sovraccaricando ulteriormente l’autodescrizione. Direi quindi che i personaggi, più che essere fedeli a sé stessi, sono fedeli alla rappresentazione linguistica e concettuale che formulano in riferimento a se stessi. È evidente però che questa iperautointerpretazione da una parte è una forma di disvelamento (non mancano – anzi la fanno da padroni – elementi vergognosi, umilianti, svilenti, che s’atteggiano quasi a confessione), dall’altra invece va a formare un involucro – in una qualche misura posticcio –dissimulatorio: la valanga dell’autorappresentazione ipertrofica tende a coprire la vera essenza del personaggio – quella che non accetta e che tace – che andrà quindi ricavata da fattori impliciti estranei alla parola del personaggio (quello che dice è spesso in contrasto con quello che fa). Un altro procedimento che uso per scardinare il circolo vizioso ermeneutico del personaggio è quello di contrapporre alla sua parola su se stesso la parola altrui, una parola altra che illumina gli aspetti occultati. Un esempio molto netto di ciò si ha nella parola di Dorota che va a sviscerare e smascherare Davide: «Voi vivete di vantaggi secondari, li avete elevati a filosofia di vita. La signora, in virtù della malattia, può dire quello che vuole, non ha nessun dovere, non deve rispettare non solo le buone maniere, l’opportunità, la coerenza, la comunicabilità di quello che dice. No! Lei non deve nemmeno rispettare la grammatica! E ci sguazza, e come se ci sguazza. Si permette, anche quando sta bene, di non rispettare nemmeno la razionalità base: io sono io, tu sei tu, questo è un tavolo, se rompo un bicchiere sul pavimento mi ritrovo tanti pezzettini di vetro. Lo stesso vale per te con la cefalea, per tuo nipote con il lutto. Dio mio, anche della cultura non fate che prendere solo i vantaggi secondari. Elevazione spirituale? Figuriamoci. Miglioramento di se stessi, dell’uomo, della società? Neanche per sogno! La usate per smarcarvi dalle convenzioni sociali, per allentare le maglie etiche, civili, anzi no, meglio: i costumi. La cultura vi serve per fregarvene – e anzi magari sentirvi un po’ superiori – di fare gli acquisti che solitamente le persone fanno. Per comprare meno vestiti. Per non avere Sky. Per legittimare la vostra vita inoperosa. Per decostruire, come fosse uno stupido mito, il valore del lavoro. Per bere la mattina. Per non avere iPhone. Per risparmiarvi di dover essere come sono le persone che vi circondano. Due paia di scarpe, non di più. Mai al ristorante, mai una pizza. Niente automobile, niente benzina. La cultura non vi serve per essere qualcosa, vi serve per scardinare l’avere che è opportuno e dignitoso avere.»

IBIB Una delle parole che mi viene in mente pensando al tuo romanzo è: masturbazione. La masturbazione come pratica autoerotica di cui Davide si serve o prova a servirsi per quietarsi e come lavorio continuo della sua mente che apre discorsi in solitaria fatti di disgressioni, congetture e a volte autocontraddizioni.

AZ Sì, è vero, la masturbazione sia metaforica che non è molto presente nel romanzo. Sono presenti due tentativi di Davide di masturbarsi, il primo fallito a causa della «svogliatezza e inconcludenza delle fantasie masturbatorie» e dell’impossibilità di «direzionarle in modo accettabile verso le situazioni prescelte», il secondo impedito dalle fitte emicraniche. C’è poi il discorso su Adair, The dreamers «la licenza del masturbatore che nella sua testa fa ciò che vuole, con chi vuole, per quanto tempo vuole». C’è infine il punto due dell’inserto sul sesso come enigma, autotrascendenza e funzione: «Sesso come masturbazione – intendo il sesso con l’altro, non quello solitario – cioè come occasione di un godimento sostanzialmente individuale, egoico; solo propiziato dall’altro, che è trasformato, sublimato, in fantasia. C’è una forma di nullificazione dell’altro, l’altro è privato del sé». Ma come dici bene è masturbatorio più in generale il lavorio continuo della mente di Davide, che si trastulla con le idee, la ricostruzioni, le digressioni. Questo dipende dall’ossessività da cui è affetto il narratore, la questione è tematizzata in questo passaggio: «Temevo appunto come la peste che il pensiero mi divenisse viscoso, che iniziasse ad appiccicarsi agli oggetti – cose, parole, ricordi – e ne perdessi il controllo. Il pensiero ossessivo è pensiero di grande sofferenza sul quale non si ha il minimo controllo. Pensiero vizioso circolare, perché pensiero ansioso – straziante – e pensiero ansiogeno al contempo. Quando parte fa tutto da solo, è un continuo autogenerarsi e autonutrirsi. Nel pensiero autotrofo non c’è posto per la volontà: l’io c’è, ma è solo passivo, è solo vittima, non può nulla contro il proprio pensiero carnefice, l’io c’è solo per essere torturato.»

IBIB Nel libro tantissime le citazioni culturali e letterarie tra cui una rivista letteraria online (ndr Verde). Secondo te dove si collocano le riviste nel panorama culturale italiano?

AZ Le riviste – intendo le riviste indipendenti, gratuite, on line – sono una boccata d’aria fresca nella cultura italiana. Un loro elemento molto importante è che sono estranee al circuito del mercato culturale e per questo potenzialmente molto più libere. Possono trattare gli argomenti che vogliono e come vogliono senza preoccuparsi di dover vendere, questo fa sì che siano importanti in sé come luogo di riflessione, di confronto, di proposizione di materiali anche stravaganti e specialistici. Un’altra loro funzione molto interessante è quella del loro porsi come palestra naturale dove affinare la propria scrittura, aumentare la propria consapevolezza estetica, costruire un proprio stile e una propria voce.

Grazie Andrea!

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