Quando ho sentito parlare per la prima volta della fiction di Rai Uno su Fabrizio De André, ho subito temuto il peggio.
Parlare di lui è difficile, tanto che a livello cinematografico nessuno ne ha avuto il coraggio: bisogna essere in grado di superare l’immagine agiografica che continuano a dargli i fan troppo affezionati. Il cantautore genovese ha sicuramente cercato tutta la vita la libertà, ma ha avuto un’esistenza contraddistinta da umanità e debolezze. In più ritenevo la televisione inadatta a raccontarne la complessità per la specificità del suo linguaggio dove tutto viene semplificato eccessivamente e, come insegna quel capolavoro di Boris, anche per le dinamiche produttive non sempre trasparenti.
La speranza si è affacciata quando Dori Ghezzi ha iniziato a spendersi molto per far capire che il progetto su suo marito non era il solito sceneggiato poco curato. Dopo aver scartato diverse proposte di sceneggiatura non ritenute idonee, si è affidata completamente a Giordano Meacci e Francesca Serafini, che De André l’avevano conosciuto e con cui avevano collaborato. Al mio timido ottimismo si è aggiunta la curiosità quando è stato svelato l’attore scelto per il ruolo del protagonista: Luca Marinelli, dall’indiscutibile talento e reduce da diversi premi importanti.
Nonostante le buone premesse, Fabrizio De André – Principe Libero è stata una rivelazione, andata oltre le mie aspettative. Innanzitutto il modo scelto per raccontare la storia è onesto, da subito viene messo in chiaro che non si cerca un biografismo eccessivo e non si sente il bisogno di imitare i personaggi conosciuti. Come dichiarato dagli stessi sceneggiatori, il loro lavoro si è basato sulla rappresentazione, come quella che il cantautore usava per le proprie canzoni, trasformando le persone in personaggi. Ad esempio, non importa se la prima chitarra viene regalata dalla madre di Fabrizio e non dal padre come nella fiction, in quanto la differenza serve a caratterizzare più quest’ultimo personaggio, figura chiave per il cantautore. Ogni comprimario del film (ad es. Villaggio, Tenco, Mannerini) rappresenta più persone nella vita reale di Faber, e serve a raccontare aspetti importanti del protagonista. Anche la scena finale, dove tutti i personaggi vanno all’ultimo concerto del vero De André, serve a sottolineare la differenza tra reale e finzione.
Come detto, il tema ricorrente di tutta l’opera è la ricerca di libertà da parte di De André. E come dice il titolo il film si apre con il rapimento, che ne rappresenta la negazione più evidente, per poi soffermarsi sulla vita privata: nella prima parte l’infanzia, l’adolescenza, il rapporto con il padre Giuseppe e l’incontro con le donne più importanti, Enrica Rigon (Puny) e Dori Ghezzi. Le tre ore abbondanti scorrono velocemente, eccetto forse per l’inizio della seconda parte, in cui ci si sofferma troppo sul periodo precedente alla separazione da Puny, per proseguire con la casa in Gallura e ritornare, in una struttura circolare, al rapimento. Ci sono ovviamente momenti in cui si parla della carriera musicale del cantautore come gli inizi con Paolo Villaggio o il primo sofferto concerto alla Bussola ma rimangono in secondo piano.
La colonna sonora si è rivelata particolarmente interessante: da una fiction di Rai Uno mi aspettavo un elenco delle canzoni più conosciute del cantautore, invece sono stati più coraggiosi, attingendo a piene mani da tutto il repertorio. Anche gli strumentali, patchwork musicali di più brani riarrangiati, sono davvero suggestivi da ascoltare.
Il film presenta qualche innegabile lacuna, ma era difficile riuscire a raccontare tutto in poco più di tre ore. Uno dei meriti più grandi è sicuramente il cast azzeccatissimo: dal regista Luca Facchini agli attori, tutti molto ispirati, in particolar modo Ennio Fantastichini, Giancluca Gobbi e Valentina Bellè, rispettivamente nei ruoli di Giuseppe De André, Paolo Villaggio e Dori Ghezzi. Nella realizzazione di questo film è evidente il contributo della vera Dori, sia in termini di supervisione del progetto che per la sua generosità e forza di volontà: è stata costantemente sul set e, a detta di molti attori, ha aiutato tutto il cast, supportandolo e raccontando aneddoti emozionanti.
Una nota a parte per Luca Marinelli: se non fosse così giovane si potrebbe parlare di interpretazione della vita, data l’intensità e le sensazioni suscitate nel vederlo nel ruolo di Faber. Evitando un mimetismo ridicolo, Marinelli diventa un De André più belloccio ma autentico, riuscendo a trasmettere lo spirito di Fabrizio, rubandone movenze e espressioni. A volte, grazie a una sapiente fotografia, è impressionante.
In conclusione: l’opera merita di essere vista e sono contento del successo avuto nei cinema, tanto da restare nelle sale più dei due giorni programmati originariamente. Spero possa essere un inizio per la televisione italiana, affinché possa realizzare, sempre più di frequente, prodotti culturali della medesima qualità, perché al di là delle chiacchiere, quando questi vengono offerti, il pubblico sa apprezzare.