La rubrica Echi – a cura di ItaliansBookitBetter – nasce da quel senso di malessere che il veloce scadere dei libri porta con sé. Esistono libri che hanno la colpa di essere pubblicati da mesi e cadono nel dimenticatoio, diventando invisibili, indipendentemente dal loro valore, solo in base al criterio del tempo che è passato. Il senso di Echi è quello di non permettere che accada, almeno per alcuni di loro, e far rivivere nella memoria libri vicini e distanti, ma mai passati.
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Esistono uomini che non hanno paura di stare al mondo. Uomini che decidono di buttarsi per assecondare i bisogni della loro anima. Uomini che guardano lontano e creano quello che altri non hanno nemmeno osato pensare. Uomini che con il loro giocare ci mettono di fronte alla nostra morale chiusa e giudicante. Un uomo così è stato decisamente Paolo Poli, con la sua ilarità e la voglia di spezzettare tutti i pilastri della morale borghese. A tre anni dalla sua scomparsa, ci restano i video d’epoca, filmati dei suoi spettacoli e documentari che tentano il racconto della sua inafferrabile vita.
Ci prova anche Giovanni Pannacci in “Siamo tutte delle gran bugiarde”, pubblicato da Giulio Perrone Editore per la prima volta nel 2009, libro che raccoglie una conversazione fra Paolo Poli e lo stesso Pannacci cominciata ad inizio primavera e terminata in estate inoltrata durante i periodi di pausa tra uno spettacolo e l’altro. Il libro è una chiacchierata brillante intorno al mondo Poli che spazia dall’infanzia alla carriera, da Dio al sesso, dalle avventure mondane alla censura, dalla sua esperienza da insegnante fino alla vecchiaia.
Il primo incontro tra Giovanni Pannacci e Paolo Poli avviene nel camerino di un teatro dell’oscura provincia italiana prima di uno spettacolo dell’istrionico attore. Paolo Poli si sta preparando per andare in scena. Indossa il suo solito smoking bianco che fa da base a tutte le sue trasformazioni. Questa volta però la manica è strappata per far posto al gesso che ricopre il suo braccio destro. Pannacci gli chiede cosa gli sia successo e lui, con il candore che lo contraddistingue, gli risponde “Ero ubriaco e sono caduto”. “Ma in scena?” ribatte maldestramente Pannacci. “Ma che in scena! Un so’ mica Carmelo Bene!”. Ed ecco per Pannacci un primo assaggio dell’ironia pungente di Poli.
Paolo Poli nasce a Firenze, terzo di sei fratelli, cresce con una madre maestra montessoriana, convinta sostenitrice della perfezione del bambino, che gli insegna che se fa come sente si troverà sempre bene. Poli anche da adulto conserverà la sua libertà e la spregiudicatezza fanciullesca. La sua personalità libera e gioiosa, la sua sconfinata cultura, il suo sguardo aperto sulle cose e la sua curiosità. In tutta la sua carriera Poli riesce a custodire la sua solitudine e la capacità di non omologarsi. L’attore fiorentino ha la rara capacità di mescolare l’elevato con il grossolano, la vera arte con la cultura popolare, il sacro con il proibito.
Nel libro Pannacci inserisce uno stralcio di un articolo di Natalia Ginzburg in un cui la scrittrice lo descrive come “un soave, ben educato e diabolico genio del male”.
Poli che mette la noia al primo posto tra il peggiore dei mali, che è riuscito a fondere una compagnia teatrale in un’unica persona. Un attore dalle mille sfaccettature che la critica e il pubblico non riescono ad afferrare appieno cercando di imbrigliarlo in rigide e vecchie descrizioni. Il critico cinematografico Tullio Kezich ci prova: “Immaginate di possedere un bel quadro e di non avere una parete alla quale attaccarlo. Questa è precisamente la situazione del teatro italiano di fronte a un fantasista come Paolo Poli. ”
È riuscito a vivacizzare una società noiosa e annoiata che ha provato a resistergli con il suo bigottismo (il suo spettacolo “Rita da Cascia” fu bloccato dopo un’interrogazione parlamentare firmata da 45 deputati democristiani perché colpevole di minacciare la dignità civile del popolo italiano). E ancora i programmi in Rai con Sandra Mondaini che hanno portato il grande pubblico a conoscerlo. I suoi spettacoli di cui Poli racconta gli obiettivi, le ambizioni e il dietro le quinte. Il teatro che s’impara sulla scena, rubando con gli occhi ai grandi e lavorando con instancabile passione, il suo mascherarsi sempre in bilico tra il maschile e il femminile, il lavoro di ricerca e di scrittura, la passione per l’arte e la voglia della scoperta. Poli non si tira indietro neanche quando Pannacci gli chiede dei suoi amori, degli uomini insospettabili che lo aspettavano all’uscita dei teatri dopo i suoi spettacoli, della scelta di solitudine e del sesso come riconoscimento di esistenza.
La Roma degli anni Sessanta con Laura Betti, gli intellettuali, l’amico caro Emanuele Luzzati e Fellini che gli propose una parte in Otto e ½ che lui rifiutò perché “ Era un uomo straordinario. Bastava a se stesso e inventava la bellezza ma era più bravo a lavorare con le comparse”.
Dall’intervista emerge chiaramente Paolo Poli come uomo oltre che come attore. Egli non usa il teatro per sfuggire o per proteggere le sue fragilità ma semplicemente per esprimere se stesso, per fare quello che sa fare e per essere quello che vuole essere. In scena egli mostra la sua vera essenza.
Pannacci nel libro ci consegna così il suo ricordo: “ Sono tantissime le ragioni per cui devo dire grazie a Paolo Poli, ma lo ringrazio soprattutto per essere riuscito a dimostrarmi che, almeno nel suo caso, le cose sono esattamente come sembrano. Straordinarie”
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Paolo Poli è nato a Firenze nel 1929 e lì ha studiato laureandosi in Lettere. Negli anni Sessanta si è dedicato all’attività teatrale, confezionando spettacoli brillanti di cui era impresario, autore e interprete, mescolando alla parola e al movimento anche canzonette e canzonacce. Muore a Roma il 25 marzo 2016
Giovanni Pannacci scrive per il teatro, la pubblicità e il web. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in varie antologie, in Italia e all’estero. Per Giulio Perrone Editore ha curato la raccolta antologica Da dove vengo io (2007) con la postfazione di Barbara Alberti, e pubblicato il romanzo La canzpne del bambino scomparso (2012)