Echi_Del Giudice

Echi- La vita dietro alle cose

La rubrica Echi – a cura di ItaliansBookitBetter – nasce da quel senso di malessere che il veloce scadere dei libri porta con sé. Esistono libri che hanno la colpa di essere pubblicati da mesi e cadono nel dimenticatoio, diventando invisibili, indipendentemente dal loro valore, solo in base al criterio del tempo che è passato. Il senso di Echi è quello di non permettere che accada, almeno per alcuni di loro, e far rivivere nella memoria libri vicini e distanti, ma mai passati.

***

Ritorno su queste pagine dopo mesi di assenza. L’ultima traccia del mio passaggio è una conversazione con Giovanni Bitetto datata 16 marzo c.a.. In questi mesi di pausa dalla scrittura e dalla lettura ho cominciato a guardare agli oggetti in maniera differente. Nelle mie giornate tutte uguali le cose sono diventate protagoniste principali del mio spettacolo privato. Quotidianità stranianti di tenerezze monche, parole taciute e azioni reiterate. Le cose abitanti i miei luoghi hanno catturato la mia immaginazione interrogandola su possibili storie passate. Sforzi vani per una mente talmente piena da produrre solo vuoto.

La mia svilente (in)azione cerebrale mi ha fatto ripensare ad “Atlante occidentale” di Daniele Del Giudice. Un libro in cui l’apparenza immobile inganna e la vita ribolle e che narra dell’amicizia tra un giovane fisico, Pietro Brahe e, un vecchio scrittore, Ira Epstein. Il rapporto tra i due, nato da un quasi incidente aereo, stimolerà brillanti conversazioni sulle intenzioni dietro alle cose.

Del Giudice porta in territorio neutro (una placida Ginevra) un uomo di scienza e uno di lettere costruendogli intorno dei micromondi (i sotterranei del Cern, il giardino solitario di Epstein, il campo di aviazione) dove dare spazio all’immaginazione e alla ricerca della propria posizione nel mondo.

“Poi aveva capito che le cose più importanti avvengono nella distrazione non nella concentrazione, e aveva imparato la necessità di distrarsi. Ma c’era voluto un po’ di tempo, soprattutto per vincere il timore che senza concentrazione non ci sarebbe stata memoria, e ancora adesso, mentre è lì sopra con Epstein, si chiede, ma solo per un istante, se questo sia un momento di concentrazione o di distrazione nel mistero della loro amicizia”

Appunti per orientarsi in un mondo che andava, Del Giudice lo scrisse nel 1985, verso l’immaterialità delle cose. La centralità del dubbio e dell’immaginazione. La potenza delle parole che rimane anche se attorno tutto cambia (c’è una descrizione dei fuochi d’artificio che vale come un corso di scrittura). L’importanza di provare un sentimento. La centralità della luce. Il volo, le particelle e la voglia degli uomini di possedere il mondo che abitano. La dualità tra anima e forma. Il timore della perdita della memoria. L’elogio del sonno e le notti di attesa. Il “lei” come unica vera forma di intimità in cui sperare di far prosperare i rapporti.

“Sono abituato a questo tempo, non ho idea di come sarebbe diversamente. Però so che c’è un tempo delle emozioni che non va assolutamente con questo tempo, e senza emozione mi pare che una cosa non sia intera, che non si fissi nella memoria, che non riuscirò a ricordarla. Sono settimane che non studio, che non ho un minuto per me, e non ricordo nemmeno più quand’è stata l’ultima volta che sono uscito con una donna. Ma non è questo, la velocità mi piace, è come essere sempre in quota correndo da un picco all’altro senza mai scendere giù. Però le emozioni vanno più lente, si mettono in moto dopo e si fermano dopo, sono come spostate rispetto agli avvenimenti, attorno e a fianco, una specie di alone e di sfondo che non riesco a percepire bene, e certe volte ho l’impressione di prendere ogni cosa togliendola dal suo alone, dal suo sfondo, e così non riuscirò più a ricordarla”

“Atlante occidentale” di Daniele Del Giudice per me è il racconto della costruzione. La costruzione dell’intimità di un’amicizia, delle cose che ci circondano, dei luoghi che distrattamente abitiamo, dell’apporto della scienza e della scrittura e di tutta la fatica che c’è dietro, della precisione e della distrazione. Un romanzo che pare immobile ma che avanza inesorabilmente verso la scoperta.

So bene che queste mie poche righe non bastano a restituire la grandezza di questo romanzo ma è solo un piccolo passo verso il nostro ricominciare. Dai libri. Ancora una volta.

“Per vedere bisogna avere la forza di produrre ciò che si vuol vedere”

***

Daniele Del Giudice è nato a Roma nel 1949. Ha lavorato alla redazione di «Paese sera». Da molti anni vive a Venezia. Ha pubblicato Lo stadio di Wimbledon (romanzo, 1983), Atlante occidentale (romanzo, 1985), Nel museo di Reims (racconto, 1988), Staccandol’ombra da terra (libro composto di varie narrazioni ma fortemente organico, 1994), Mania (raccolta di racconti, 1997), I-Tigi. Canto per Ustica (testo di uno spettacolo scritto con Marco Paolini, 2001 e 2009), Orizzonte mobile (altro libro composito ma unitario, 2009). Piú recentemente sono stati raccolti suoi scritti nei due volumi In questa luce (saggi e scritti autobiografici, 2013) e I racconti (2016). Tra i suoi saggi letterari, ricordiamo l’introduzione alle Opere complete di Primo Levi (1997 e 2016). Nel 2002 gli è stato assegnato il premio Feltrinelli – Accademia dei Lincei per il complesso della sua opera narrativa. Tutti i suoi libri sono stati pubblicati da Einaudi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *