Racconto di Jon D. Rapp
Traduzione di Andrea Berardi e Enrica Fei
Sono tornato a casa in Vermont per un funerale quando ricevo una chiamata da Keisha. Sta andando nel New Hampshire passando per Chicago. L’occasione? Il Rainbow gathering nazionale. Mi chiede se voglio saltare sul suo furgone con “due fricchettoni”. Non vedo Keisha da quando la nostra banda di vagabondi/vagabohémien/escursionisti straccioni è stata sgomberata da uno squat di New Orleans in primavera.
Un furgone da lavoro bianco, lurido, anonimo e senza targa si ferma davanti a casa di mia madre nelle campagne del sud del Vermont. Lo sportello scorrevole si apre e spuntano fuori due viaggiatori luridi. Li saluto con delle birre in mano. Abbiamo un fricchettone in cappello da cowboy con una salopette unta, un metrosessuale vestito come un personaggio di Street fighter e Keisha, una vera trainhooper, una vagabonda su ruote vestita senza troppi fronzoli. Sembrano tutti un po’ storditi. Vogliono farsi una doccia.
Mia mamma si torce le mani in modo nervoso. Mi dice che lo scarico non può reggere tutte queste docce una dopo l’altra. Non è che non sia vero, ma quello che vuole dire è “non voglio che due fricchettoni e una trainhooper si lavino nella mia casa pulita”.
Comprensibile. È anche preoccupata che non ci siano sedili posteriori sul furgone in cui io possa mettere la cintura. Questo genere di cose. Mi abbraccia come fosse l’ultima volta che mi vede; non è facile essere la madre di un vagabondo.
Ci fermiamo in una cava di roccia lì vicino per lavarci. Keisha si sfoga un attimo sui suoi compagni. Uno fa colletta alle stazioni di servizio (un accattone da autostrada) e l’altro suona per strada assoli di trombone. È così che si stanno pagando la benza dal Midwest al New England. Lei li ha trovati su una pagina di ridesharing della Rainbow Family. Il viaggio è iniziato bene ma si è bloccato una volta arrivati a New York, a quanto pare. Ad ogni fermata ci mettono ore per ripartire.
Mi sono offerto di “schioccare la frusta” e fare il capitano mentre lei stende le gambe all’aria. Offro anche di smezzare i costi della benzina. Keisha accetta la mia offerta.
Ci mancano solo quattro ore. Tutto fila liscio. Butto giù qualche fetta di San Pedro e raduno le truppe.
“Cowboy Bebop”, il compagno in salopette che suona il trombone neanche troppo male, si lamenta che non possiamo andare avanti fino a che non compra un paio di scarpe nuove.
“Stai andando al Rainbow. Non ti servono scarpe.”, gli ricordo.
“L’ultima volta che ci ho provato mi sono tritato i piedi di brutto, non sono riuscito a camminare per una settimana. Ho bisogno di tirare su due spicci in strada”, si lamenta.
“Bro, siamo nel New England profondo. Gli assoli di trombone non tirano molto qui. Guarda, vedo se ci sono negozi a poco sulla strada. Ora diamoci una mossa!”. Saliamo e sfrecciamo via, guido io.
Chiamo qualche negozio dell’usato. Tutti chiusi. Tardo pomeriggio. Ne trovo uno aperto però,
“Hey, vendete scarpe?”, chiedo.
“Scarpe, Sì… mhm…in realtà le abbiamo appena terminate.”
“Quindi zero scarpe?”, insisto,
“Sì, zero scarpe.”
Butto giù e riferisco al Cowboy. Sembra rassegnato. Mi offro di taccheggiarne un paio da Wal-Mart, ma lo dico tanto per dire. Keisha mi fa sapere che ha delle scarpe sul furgone ma sono fradice.
“Asciughiamole al falò come marshmallow sullo spiedo!”, propongo. “Non hai visto quel film di Jackie Chan dove lo fa con i pantaloni? Drunken Master?”
Cowboy alza le spalle. È seduto davanti con l’aria da vero bandito e gira sigarette tutto pigro con i piedi nudi piazzati sul cruscotto, mentre Keisha sta dietro. Almeno Cowboy ha belle storie da raccontare. Roba da non dire in giro. Okay, solo una.
Si sbafava una corsa gratis su un treno merci con delle armi in saccoccia quando lo fermano da qualche parte nel profondo sud. È bianco però, e allora se la cava saltando i cinque giorni di galera o giù di lì che gli toccavano per essere salito sul treno in corsa e si fa spedire le armi a casa nel Midwest. Difficile da credere. Divertente però.
Parla molto della moglie che lo tratta parecchio male. Per avere 24 anni, il tizio sembra rodato.
L’altro passeggero, Azure, sta fermo e tranquillo, giusto qualche risatina ogni tanto. Arriviamo nel New Hampshire senza intoppi.
Un’insegna pubblicizza musica dal vivo e gelato gratis, ci fermiamo per dare un’occhiata. C’è scritto lunedì, ore 19:00. Controllo sul cellulare. Sono le 19:00 di lunedì, pura coincidenza. Ci fermiamo per dare un’occhiata. Mi avvicino al banchetto e chiedo a una donna che è lì da sola se ci sono musica e gelato.
“Entrambi annullati. Piove”. Alza le spalle.
“Che hai nel freezer?” Alzo il pollice oltre la spalla indicando un freezer a pozzetto abbandonato e attaccato a una prolunga.
“Vuoto, credo”.
Sorrido e saluto, e mentre si gira apro il freezer che trovo pieno zeppo di secchielli di gelati Friendly da dieci chili. Ne tiro fuori uno di Rocky Road, pieno per un quarto, e lo porto sotto braccio al furgone. Ci godiamo in un’ingozzata di gelato, crogiolandoci nel bagliore ramato di una serata umida nel New England. Il morale è alto.
Quando siamo quasi arrivati, veniamo a sapere della massiccia presenza di polizia vicino all’entrata del raduno, in una parte della foresta vicino al Monte Washington. Alcuni del Rainbow vengono fermati e beccati con l’erba. Dico alla banda di tenere la loro roba ben nascosta così possiamo superare il controllo che aspetta chi arriva al Rainbow.
A quanto pare, gli abitanti del paese e la Rainbow Family non hanno mai avuto grandi rapporti e i giornali locali hanno lanciato una campagna diffamatoria contro l’evento dopo che si è diffusa la voce del casino del 2016 al raduno del Green Mountain National Forest nel Vermont.
A tutti piace buttare merda sui Raibows, e non hanno tutti i torti. Tutto sommato però, ci sono sette peggiori. La gente del paese farebbe meglio a estirpare i preti pedofili anziché prendersela qualche derelitto nomade, sottoprodotto e residuo dell’epoca industriale.
Le aspettative al Rainbow sono basse, ma tutti sono fatti e su di giri. Il raduno è libero e anarchico, si potrebbe dire. In un certo senso è aiuto reciproco e socialista. Si oppone al più profondo tessuto della società. Controcultura. È lo sporco e pigro contro-altare dell’epoca della schiavitù del debito, delle quaranta ore settimanali.
La principale lamentela della gente del posto: questi eventi distruggono la foresta, lasciando inevitabilmente un sacco di rifiuti, nonostante gli sforzi dei partecipanti. Allora cosa vogliamo dire della gente di qui con le moto da cross, motoslitte e quad, che insudiciano i sentieri delle foreste con mozziconi di sigarette e lattine di Bud Light? Fare paragoni è odioso come sono odiosi gli hippy sudici che si lavano la faccia nel reparto frutta e verdura. Voglio dire, siamo tutti dei cazzo di colpevoli.
I Rainbows buttano giù alberi per costruire, creare ponti, sentieri e accampamenti. I preparativi durano almeno un mese, il momento che chiamano “Campo Seme”. Questo fa incazzare quelli della Forestale, che dovrebbero stare zitti vista la loro pessima reputazione nella preservazione della natura.
Mi riferisco a un caso del 1957, quando il Servizio Parchi Nazionali decise di “recuperare” Abrams Creek per le trote arcobaleno. I biologi scaricarono diversi bidoni di rotenone, un veleno, in quindici miglia di ruscello. Furono spazzate via trentuno specie di pesci. Durante l’esperimento, i biologi scoprirono il cadavere di una nuova specie! La “Smoky Madtom”, che nello stesso esperimento fu scoperta e sterminata.
Considerando che tutto questo è un esperimento, la gente del paese si lamenterà sempre quando si raduna un gran numero di persone per progetti culturali di nicchia o di contro-cultura. Funziona così. I guardaboschi hanno affisso cartelli che indicano le violazioni per le quali potremmo essere tutti teoricamente multati. Lo spostamento di residui forestali e i raduni di più di settantacinque individui sono tra le infrazioni più punibili.
Entriamo nella foresta protetti dalle falde del buio senza particolari incidenti. Alla polizia non frega niente del nostro furgone bianco losco e criminoso. Alla grande.
Siamo accolti dal solito “Welcome Home” dei compagni che partecipano mentre cerchiamo di capire dove metterci a dormire con questa pioggia. Un raduno Rainbow di solito è composto da vari campeggi con temi e offerte diverse. Pensate a una versione gratuita di Burning Man per straccioni. C’è un centro principale dove si svolgono gli eventi, oltre a vari campeggi che ospitano palchi e eventi e pasti di ogni tipo.
Trovo un posto tranquillo tra i cespugli e apro una tenda presa in prestito che il ragazzo di mia madre ha comprato a una svendita. Mi rendo conto che contiene solo i pali e un telo impermeabile. Niente tenda. Sta piovendo. È la seconda volta che mi porto dietro una tenda senza averla controllata in qualche avventura e mi trovo nella merda. Maledizione.
Per fortuna ho portato un telone impermeabile e un materassino. Mi faccio prestare da Keisha una cerata e mi stendo tra gli alberi, stile campeggio libero. All’alba le zanzare mi massacreranno. Per questo ci sono le sciarpe.
La mattina dopo io e Keisha tiriamo fuori dal furgone la roba dei fricchettoni e lo chiudiamo a chiave. Taglio netto. Camminiamo su un lungo sentiero fangoso fino al centro principale per partecipare al grande evento: la mattinata del 4 luglio in silenzio a meditare e a pregare tutti insieme per la pace sulla Terra. Ci sta tutto.
Keisha è restia a tenersi tutti per mano ma le dico che va bene così. È solo un gruppo un po’ strano. Non è un grosso problema. Cantiamo e preghiamo. Magari facciamo qualche om e ci godiamo lo spettacolo. Ne facciamo parte, in fin dei conti. Tanto vale partecipare anche noi.
Mi siedo con la mia macchina da scrivere al centro del cerchio di tamburi in festa, seguo il ritmo e una prosa sardonica gonzo style prende forma.
Dopo decidiamo di prendere un caffè e stuzzichiamo chi passa da un piccolo campeggio dove si dibattono teorie anarchiche. Uno degli oratori sponsorizza il Sindacato dei lavoratori internazionali. Forza Wooblies! Chiedo chi sia il loro attuale leader e non sanno rispondermi. Di colpo la conversazione si chiude.
Tutti riprendono a fumare estratti, tossendo e mandando giù caffè amaro. Un ragazzo si sfoga sull’intrinseca diffidenza verso qualsiasi organizzazione gestita da essere umani o qualsiasi cosa creata dagli esseri umani, promuovendo una sorta di decentralizzazione miceliale.
“Dovremmo risolvere i nostri problemi con un approccio animistico anziché usare l’intelligenza umana! Esempio concreto: l’esperimento sulla Muffa Slime in Giappone. L’esperimento è stato progettato e condotto dagli umani per comprendere la struttura biologica degli esseri umani ma è stato risolto con l’intelligenza micelica. Dovremmo farci da parte.”
“Wow, questo è anarchismo per davvero”, commenta qualcuno.
Tutti si stanno sballando per bene. Si godono l’atmosfera, la compagnia; tutti in attesa. Questa energia tangibile di attesa. Vibrazioni di anticipazione; ansiosi, in un certo senso. Cosa stanno aspettando?
Aspettano di essere liberati? Aspettano l’apocalisse? Aspettano il ritorno di Gesù? Aspettano l’ascensione? Aspettano la singolarità tecnologica? Aspettano per il prossimo pasto o l’elemosina? Aspettano di fare sesso? Aspettano la prossima birra, la prossima canna, il prossimo viaggio psichedelico? Aspettano di essere recisi da questa spirale mortale?
Sto camminando, ora; caffeinico.
“Aspetti la pizza…?”, chiede qualcuno sponsorizzando il Pizza camp.
“Pizza camp?”
“È all-you-can-eat, mangi finché scoppi, pizza fino a che non vomiti”. È entusiasta.
“Devo chiedertelo, vomitiamo per troppa pizza o per pratiche culinarie non proprio igieniche?”
Resta in silenzio per un po’ prima di cedere con un che di stoico.
“Devi venire per scoprirlo. Ti riempiranno di così tanta pizza che dovranno spingertela giù per la gola con un bastone”. Poi scompare dentro al boschetto.
Mi chiedo se fosse un doppio senso sessuale o un eufemismo spinto.
Proseguo dritto e sento persone discutere di produzione di risorse e autosufficienza.
“Sembra che gran parte di tutto questo non esisterebbe senza buoni pasto e banche del cibo. Non direi che stiamo producendo le nostre risorse o vivendo fuori dal sistema, ma alcune persone lo direbbero”.
“Dobbiamo pur cominciare da qualche parte.”
“Hey, hai per caso dell’erba, amico?”
Vedo cartelli per passeggiate botaniche e eventi collettivi di abilità primitive e sopravvivenza all’aria aperta. Opportunità di formazione. Opportunità di crescita. Opportunità per fare passi verso la liberazione, magari. Buon per loro. Unisciti alle comunità locali di Potenziamento Terreno e Primitivo!
Il trambusto e la kumbaya sono fantastici e tutto, ma io e Keisha vorremo stordirci con un po’ d’alcol che di solito non è ben visto nel centro del campo. Di nuovo al parcheggio per il nostro rituale dionisiaco. Con passi eretici scendiamo al “Campo A”, dove mi procuro qualche shottino di gin scambiandoli con qualche fetta di San Pedro. Spariamo un po’ di cazzate e torniamo al furgone per smontare il campo.
Nella mia breve visita, ho osservato un luogo che molti considerano casa. Così tanto cibo, supporto emotivo, libertà di amare e di esprimersi attraverso canti, ballo, arti spontanee. Bellissimi concerti di musica bluegrass, corpi che si contorcono in eleganti danze nel fango. L’abisso sudato del pozzo umano che si dischiude e fiorisce, ricco e colloso di nettare feromonico, e l’uomo deviato che trova ritmo e anima, mito e appartenenza, almeno per un po’.
Keisha e io guidiamo lontano fino a trovare un campeggio tranquillo lungo il fiume, spezzare un po’ di legna e costruire il nostro accampamento, la nostra casa, sotto il cielo aperto, le stelle che scintillano, il fuoco rabbioso, il fiume ruggente, e non un altro essere umano per almeno qualche chilometro.
Sento quello che più mi appartiene: correre, distendermi, nascondermi, sgattaiolare, sussurrare e infestare luoghi come un fantasma di paese, quello di tutte le penne e i nastri di inchiostro che ho usato sui diari e sui sentieri di Babilonia, mai denigrandolo col canto ma ammirando la miriade di forme in cui si disgrega, e riposando come se fossi già una margherita sbocciata nel cemento che sparge semi e liberazione.
“Non amo meno gli uomini, ma più la natura.”
Il giorno dopo scheggiamo verso la costa del Maine per cucinare qualche aragosta sulla spiaggia.
*****
Tales from the summer III – Much ado about Wooks
I’m visiting my home state of Vermont for a memorial when I receive a call from Keisha. She’s headed to New Hampshire by way of Chicago. The occasion? The US National Rainbow Gathering. She asks if I want to hop in her van with “two wooks”. I hadn’t seen Keisha since our hobo/hobohemian/hiker-trash crew got evicted from a New Orleans squat in the springtime.
A dirty, nondescript, white utility van with no license plates pulls up to my mom’s house in rural Southern VT. The sliding side door peels open and two dirty travelers roll out. I greet them with beers in hand. We have one wook in a cowboy hat wearing greasy bibs, a metrosexual dressed like one of the Street Fighters, and Keisha, a proper trainhopper and rubbertramp dressed in plain attire. They all have a dazed look about them. They want showers.
My mom wrings her hands nervously. She says her septic can’t handle back-to-back showers. She’s not lying, but the undertones are, “I don’t want two wooks and a trainhopper bathing in my clean home”. Understandable. She’s also concerned that there aren’t seats in the back of the van for me to buckle into, as a passenger. Of all things. She hugs me as if it’s the last time she’ll see me; no easy way to be the mother of a tramp.
We stop at a nearby rock quarry to bathe. Keisha vents a little about her companions. One is gas-jugging (highway panhandling) and the other is busking, playing solo trombone. This is how they’re splitting the gas from the midwest to New England. She met them through a Rainbow Family rideshare page. The trip started out quickly but stalled once they got to New York, it seemed. Every stop, taking several hours to get going again.
I offered my services to “crack the whip” and play captain while she kicks her feet up. I also offer to split half of the remaining gas costs. She assents my offer.
We’re only 4 hours away. Piece of cake. I chomp down a few slices of San Pedro cactus and rally the troupe.
“Cowboy Bebop”, young fella in the bibs who plays trombone alright, complains that we can’t proceed further until he buys a new pair of shoes.
“You’re goin’ to Rainbow. You don’t need shoes.” I remind him.
“Last time I tried that, I got trench-foot so bad, I couldn’t walk for a week. I need to go busk some money up.” He laments.
“Bro, we’re in rural New England. Solo trombone ain’t really a hot act in these parts. Look, I’ll see if there are any thrift stores on the way. Now, let’s get a move on!” We load up and fire away, me driving.
I call a few thrift stores. All closed. Late in the day. I do find one that’s open,
“Hey, do you sell shoes?” I ask.
“Shoes? Yeah… uh… actually fresh out.”
“So, you’re outta shoes?” I confirm.
“Yeah, outta shoes.”
I hang up and let Cowboy know. He seems defeated. I offer to shoplift him a pair from Wal-Mart, but it was a hollow offer. Keisha let me know that he had shoes in the van, but they were drenched.
“Dry ‘em out on a campfire like marshmallows on a stick!” I offer. “Haven’t you seen that one Jackie Chan movie where he does that with his pants? The Drunken Monk?”
Cowboy shrugs. He’s riding shotgun, lazily rolling cigarettes with his bare feet on the dash while Keisha rides in the back. At least Cowboy has some good stories. Ones I probably shouldn’t repeat. Okay, just one.
While riding a freight train with concealed firearms, he was pulled off somewhere in the deep south. Because he was white, he was able to sit the 5 days or so for trespassing and appeal to get his weapons mailed to his homestate in the midwest. Hardly believable. Entertaining nonetheless.
He talks a lot about his abusive wife a lot. For a 24 year old, dude seems to have some miles on him.
The other rider, Azure, sits tight and peacefully, giggling occasionally. We all make it to New Hampshire without holdup.
Passing a sign advertising live music and free ice cream, we stop to investigate. Says 7pm, Monday. I look at my phone. It just happens to be 7pm and Monday. We stop to investigate. I approach the bandstand to ask a lone woman about the availability of music and frozen desserts.
“Both canceled. Rain.” She shrugs.
“What’s in the freezer?” I toss a thumb over my shoulder, gesturing toward a lone chest freezer tethered by an extension cord.
“Empty, I guess.”
I smile and wave, and as she turns away, I open the freezer to find it well-stocked with 3-gallon Friendly’s ice cream buckets. I pull out a Rocky Road, about ¼ full, and carry it underarm back to the van. We delight in an ice cream feast, basking in the copper glow of a humid New England eve. Morale is high.
Nearing our destination, we learn of heavy police presence near the entrance to the gathering, located in a section of national forest near Mt. Washington. A few Rainbows are pulled over and busted for weed. I tell the crew to keep their shit tucked so we can make it through the potential gauntlet that awaits Rainbow arrivals.
Apparently, the local town and the Rainbow Family haven’t maintained the best report, and the local news is running smear campaigns around the upcoming event after word spread about fallout from 2016’s national gathering in the Green Mountain National forest in Vermont.
Everyone loves to shit on the Rainbows, and they’re not entirely wrong for doing so. All-in-all, there are worse cults. The townsfolks would be better uprooting Catholic pedophiles rather than a few derelict nomads, byproducts and reminders of the industrial epoch.
At Rainbow, the bar is low but everyone is high. It’s free and anarchic, in ways. It’s mutual aid and socialistic, in ways. It opposes the very fabric of society. Counter-culture. It’s the grungy, lazy counterpart to the age of debt slavery and the 40 hour work week.
The main complaint of local townsfolk: these events trample forests, often leaving inevitable waste behind, despite the best efforts of attendees. And, what of the locals with their dirt bikes, snowmobiles, and ATVs, littering forest trails with spent Skoal tins, cigarette butts, and Bud Light cans? Comparisons are odious and so are dirty hippies washing their faces in produce aisle misters. I say we’re all fucking guilty.
The Rainbows chop down trees to build, creating bridges, paths, and camps. Set up lasts for at least a month, which is called “Seed Camp”. This pisses off the forest service, whom have little room to speak due to their own terrible track record of preserving the wilds.
I refer to a case of the National Park Service in 1957, who decided to “reclaim” Abrams Creek for rainbow trout. Biologists dumped several drums of poison called rotenone into 15 miles of creek. 31 species of fish were wiped out. During this experiment, the biologists discovered the corpse of a new fish species! The “Smoky Madtom”, which was simultaneously discovered and wiped out during the same experiment.
Considering all of this is experimental, the town folk will always complain when a large group of humans gather for fringe-culture or counter-culture experiments. So it goes. The rangers posted signs citing violations that we could all theoretically be fined for. The moving of forest debris and groups larger than 75 being among the most punishable of offenses.
We make it into the forest under canopy of darkness with no incident. The police don’t bother our white van with its rapist aesthetic. Groovy.
We’re greeted by the usual “Welcome Home” cheers of fellow attendees while we figure out where to bed down in this rain. A Rainbow Gathering is typically comprised of many camps with different themes and offerings. Think: free Burning Man for tramps. There is a main circle where events take place, along with other camps who host stages and events and meals of all types.
I find a quiet spot in the brush and unpack a borrowed tent that my mom’s boyfriend acquired at an estate sale. I realize it only contains poles and a rain fly. No tent. It’s raining. This is the second time I’ve taken an un-inspected tent on an adventure to find myself shit outta luck. Shame on me.
Luckily, I’ve brought a large rainfly and a sleeping pad. I borrow a ground tarp from Keisha and bed down in the trees, open camping style. Mosquitoes are gonna fuck me up come sunrise. That’s what scarves are for.
Next morning, Keisha and I get the wook belongings out of her van and lock it up. A clean break. We walk up a long muddy trail to the main circle to partake in the big event: a 4th of July morning spent in silent meditation and prayer for peace on Earth. Reasonable.
Keisha is resistant to holding hands but I let her know it’s okay. It’s just a cult. It’s not a big deal. Let’s sing and pray. Maybe do some Om’ing and watch the show. We’re a part of it, after all. Might as well participate.
I sit down with my typwriter in the middle of the celebratory drum circle, clacking rhythm and waxing sardonic gonzo prose.
Afterwards, we opt for coffee and heckling passerby at a small camp, where it’s residents are debating anarchist theory. One debater is promoting the International Worker’s Union. Wobblies! I ask who their current leader is and they can’t say. The conversation shuts down entirely.
Everyone resumes smoking dabs, coughing, and chugging black coffee. One lad vents about their inherent distrust of organizations run by humans or anything created by humans, advocating for a sort of mycelial decentralization.
“We oughta fix our problems with animistic problem-solving rather than human intelligence! Case-in-point: the Slime Mold experiment in Japan. The experiment was designed and conducted by humans to address human structures but solved with mycelial intelligence. We oughta get out of our own way.”
“Now, that’s anarchism done right.” Someone suggests.
Everyone’s getting properly stoned. Enjoying the atmosphere. The company; everyone waiting. This palpable “waiting” energy. Anticipatory vibes; anxious to a degree. Waiting for what?
Waiting to be liberated? Waiting for the apocalypse? Waiting for Jesus to come back? Waiting to ascend? Waiting for singularity? Waiting for the next meal or handout? Waiting to get laid? Waiting for the next beer or bud or psychedelic? Waiting to be severed from this mortal coil?
I’m walking, now; caffeinated.
“Waiting for pizza…?” Some guy asks, promoting Pizza Camp.
“Pizza Camp?” I ask.
“It’s an all you can eat, scarf til you barf, pizza til you puke party.” He cheers.
“I have to ask, are we puking because of too much pizza or because of unsanitary cooking practices?”
He remains silent for a while before submitting, somewhat stoically.
“You’ll have to come find out. They’ll feed you so much pizza that they’ll have to stuff it down your throat with a stick.” And he disappears into the forest brush.
I wonder if that was a sexual innuendo or a violent euphemism.
I walk onward and hear folks discussing resource generation and self-reliance.
“Seems like most of this wouldn’t exist without EBT and food banks. I wouldn’t call this generating our own resources or living off the land, but some people would.”
“We all gotta start somewhere.”
“Hey, you got any bud, man?”
I see signs for plant walks and primitive/earth skills communal happenings. Opportunities for education. Opportunities for empowerment. Opportunities for steps in the direction of liberation, perhaps. Good for them. Connect with your local Earth Skills and Primitive Skills communities!
The hooplah and kumbaya are great & all but Keisha and I wish to dull our senses with some alcohol, which is generally not welcome in the main camp areas. Back to the parking lot for our Dionysian lot. A few heretical steps take us down to “A Camp” where I procure a few shots of gin in exchange for some San Pedro cactus. We shoot the shit awhile and head back toward the van to pull up stakes.
In my short visit here, I observed a home for many. So much food, emotional support, freedom of love and expression through spontaneous, song, dance, and art. Amazing bluegrass and folk music stages, bodies writhing in elegant, muddy dance. Sweaty abyss of human cesspit blooms forth in flowers, sticky and full of pheromone nectar, the misguided anthro finds rhythm and lore, myth and belonging, at least for a while.
Keisha and I drive away to find a quiet riverside camp spot, break a few sticks for, and make a bum camp home of our own beneath an open sky, stars glittering, bonfire raging, river roaring, and not another human around for at least a few miles.
Feeling my own state of belonging: running, ducking, dodging, weaving, whispering and haunting places like a peasant ghost of all the pens and ink ribbons I spent on journals and sidewalks of Babylon, never chanting it down but admiring its myriad shapes as it crumbles on its own, and taking repose as if I already am a daisy bursting through concrete, spreading seeds and release.
“It’s not man that I love less but nature more.”
The next morning we roll out toward the coast of Maine to cook some lobstah on the beach.
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L’autore
Jon D. Rapp è un menestrello della macchina da scrivere e co-fondatore di Rogue Writer’s Guild, il collettivo internazionale nato nella West Coast americana sotto gli influssi dell’industria del thc.
Jon D. è uno scrittore dallo stile gonzo, con un’indole primitivista che ama ritirarsi nel bosco per settimane armato di macchina da scrivere e bandiera a stelle e strisce.
Bio e commento del traduttore Andrea Berardi
ACAB mangia, scrive, e dorme.
Rogue Writer’s Guild è un progetto di auto-pubblicazioni attivo in Nord America, Messico e Italia. Le loro fanzine e i romanzi non pubblicati cercano di interpretare i risvolti della nuova psichedelia, degli stati alterati e di un mondo ultra-tecnologizzato. I suoi membri passano buona parte del loro tempo coltivando cibo e tagliando legna.
Bio e commento della traduttrice Enrica Fei
Nata a Firenze, ha vissuto e lavorato nel Medio Oriente, a Londra, e ora è a Berlino. È arabista e traduttrice, lavora come ricercatrice e a breve difenderà la sua tesi di dottorato in Relazioni Internazionali su Iraq, Iran e identità sciita. Suoi traduzioni, racconti, articoli e recensioni sono apparsi su varie riviste, tra cui Arabpop, L’Inquieto, Lo Spazio Letterario, Altri Animali, Quarta Corda, Marvin, Minima & Moralia, Yanez, In Fuga dalla Bocciofila. Ha scritto la prefazione del romanzo di Kurban Said Ali e Nino (Oscar Mondadori, 2024). Sta scrivendo il suo primo romanzo.
Lavorare con Andrea a questa traduzione è stata un’esperienza che mi ha profondamente arricchito. Non ho grande familiarità con il mondo ritratto da questo racconto. Andrea, al contrario, è amico dell’autore e ha partecipato a incontri di questo tipo negli Stati Uniti. La prosa di Jon, inoltre, alterna una paratassi estrema a periodi più articolati in cui gioca con i campi semantici di vocali con più significati. Il confronto con Andrea è stato quindi fondamentale per afferrare a pieno il significato che l’autore voleva trasmettere e, anche, per rendere nel migliore dei modi il ritmo e le allitterazioni a cui Jon spesso ricorre. Io e Andrea ci conoscevamo appena quando abbiamo iniziato a lavorare a questo tempo. Oggi posso dire che siamo diventati amici.
Copertina AI-generated con la piattaforma Runway