Racconto di Laura Venita Green
Traduzione di Marianna Vitale
Racconto e traduzione pubblicati nell’antologia 2020 Word for Word Workshop ebook
Nuova versione del racconto pubblicata dalla rivista statunitense Joyland
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Serge le seguì sulla strada del ritorno, trasportando la bara su un carrellino. La brezza di quella mattina si era trasformata in un vento pungente ed erano comparse delle nuvole scure. Pioveva così forte che molti furono costretti a cercare un riparo, ma anche se le strade erano ancora affollate si poteva distinguere la donna in piedi davanti al negozio di Trina, che si chinava per sbirciare dentro attraverso le tendine. Indossava un abito di seta blu polvere e sandali argentati, non sembrava essersi accorta che i capelli biondi raccolti nello chignon si erano afflosciati per la pioggia. Portava un’elegante borsetta in pelle, che di sicuro non aveva preso in saldo al French Market. Aveva un’aria costosa. E vagamente familiare.
A Trina non piaceva quella donna. Pur non avendo un dono come quello di Abby, era comunque in grado di capire le persone. Girò la chiave nella toppa e aprì la porta, ignorandola.
– Madame Trinae? – disse la donna, sollevando il capo. Era più alta di Serge.
Trina disse a Abby e Serge di entrare, chiuse la porta dietro di loro e rimase sotto la pioggia con la donna. – Sì?
– Ho bisogno di parlarle. Subito. – La donna aveva occhiaie marcate sotto gli occhi arrossati. Assunse una posa impettita. Era abituata a ottenere ciò che voleva.
Trina le passò un biglietto da visita. – Al momento ho da fare, e lavoro solo su appuntamento. Sul retro c’è il sito web e il link per prenotarsi online.
Si voltò per entrare, ma la donna le girò intorno e la bloccò. – Ho già il suo biglietto, – disse. – Me lo ha dato qualche mese fa. Ero seduta su una panchina nel parco di Coliseum Square, di fronte al mio studio legale. C’era sua figlia con lei.
– Non è mia figlia, – disse Trina, e subito si pentì di averle rivelato qualcosa di sé. Incrociò le braccia sul petto, sentendosi scoperta nel suo vestito bianco, che stava diventando trasparente per la pioggia. – È mia sorella.
– C’era anche lei, – disse la donna, indicando il negozio. – Me lo ricordo perché è venuta da me, mi ha toccato la gamba e mi ha sorriso in modo così dolce… Pochi minuti dopo, quando mi sono alzata per andare al lavoro, lei mi è venuta incontro e mi ha detto: «Troverai finalmente il coraggio di lasciare la tua famiglia? Sono Madame Trinae, e posso aiutarti a vedere.» Credo di non aver più dormito da allora.
Trina ricordava ora. Quella donna faceva sembrare un trono anche la squallida panchina del parco, sedendo in modo regale nel suo vestito di seta, verde smeraldo e nero, che probabilmente costava più di due mesi dell’affitto di Trina. E le era sembrata triste, come se una signora con tutti quei privilegi potesse conoscere le difficoltà della vita. Abby aveva detto che quella donna usava qualsiasi scusa per fare viaggi di lavoro, per stare lontana da suo marito e da suo figlio. Non sopportava la loro presenza. Non a caso le parole di Trina erano state poco gentili – quando l’aveva avvicinata, la donna l’aveva cacciata via con uno sdegnoso no, grazie prima che lei aprisse bocca.
– Prendi un appuntamento.
La donna rovistò nella borsetta e tirò fuori una busta. – Ecco cinquecento in contanti. Ma ho bisogno che lei mi veda adesso.
Trina prese la busta e la strinse al petto. – Posso farti una lettura, anche se di solito non lo faccio senza appuntamento. Mi piace iniziare così con i nuovi clienti, per mettere subito in chiaro dove si trovano e come possiamo lavorare meglio insieme.
– Ho solo bisogno che mi dica una cosa, – disse lei. – Una cosa sola.
– Cosa vuoi sapere?
La donna scosse la testa.
– Se vuoi sapere una cosa specifica, una cosa che riguarda il tuo futuro, – disse Trina. – Richiederà più sessioni.
– Non ho tempo. Se servono più soldi, posso procurarglieli.
Certo che voleva più soldi, ma il modo in cui quella donna la buttava lì come se non avessero alcun valore, in una città con così tante persone che lottavano solo per farsi una vita, come se i soldi non significassero libertà e stabilità e programmi a lungo temine, era esasperante. Di cattivo gusto. Trina si strofinò la guancia umida di pioggia, e il mascara che era colato le sporcò la mano. Allungò il collo del vestito e lo usò per pulirsi la faccia, rovinando il cotone bianco.
Il campanellino sulla porta del negozio tintinnò e spuntò fuori la testa di Abby. – Via! – disse Trina, e la bambina richiuse la porta.
Fissò negli occhi la donna. – Portamene altri mille e vediamoci qui stasera alle dieci e un quarto.
La donna indietreggiò. – Non posso aspettare così tanto. Stavo quasi per buttarmi giù dal cavalcavia prima di cambiare idea e venire qui.
Trina la osservò per un momento e poi scoppiò in una breve risata. – Vieni alle dieci e un quarto o non venire. Non mi interessa proprio. Ma se vieni, non arrivare in ritardo. – Aprì la porta del negozio, sventolò la busta, e gridò al di sopra della spalla, – E nemmeno in anticipo.
*
Trina non poteva dirle nulla senza prendere informazioni da Abby. E prima doveva occuparsi dei clienti fissi della domenica. Quella donna avrebbe dovuto attendere che se ne fossero andati e che Abby avesse preso la sua pillola serale alle dieci – Trina non aveva intenzione di cambiare i suoi programmi solo perché lei era arrivata sventolando in aria il suo denaro. Bisognava che Serge badasse a Abby e la riportasse a casa in tempo per la pillola, come al solito. La droga avrebbe fatto effetto, la bambina si sarebbe sentita meglio prima dell’arrivo della donna, e Trina avrebbe potuto prenderla da parte e farsi dire quello che le serviva. Poi Serge e Abby se ne sarebbero andati di nuovo. Semplice.
Trina chiuse a chiave la porta del negozio dietro di lei. Il tavolino-bara era stato posizionato vicino allo specchio e Serge gli stava sistemando attorno le sedie e i cuscini.
Abby raggiunse Trina e affondò il viso nel suo ventre. – Sto ancora da schifo, – disse.
Trina la allontanò e osservò la chiazza rossa sul suo vestito, dove il gesso sui capelli umidi della bambina aveva lasciato una macchia che faceva compagnia a quella nera del mascara. Si sfilò il vestito dalla testa, tremando nella biancheria intima anche se non era particolarmente freddo. – Fanculo, – disse. Si avvicinò all’armadio a muro accanto al futon, mise il denaro in un cassetto, tirò giù un abito dalla gruccia e gettò quello rovinato nella spazzatura.
La bambina la seguì e le si aggrappò alle gambe come un cucciolo.
Trina si liberò da lei e disse a Serge: – Quando tornate qui stasera, puoi fermarti un momento, in modo che lei veda una nuova cliente, e poi la riporti a casa con te?
– Cosa? – disse Serge.
Abby disse: – Stasera non mi va.
– Dopo vi raggiungo e dormiamo tutti insieme.
Così ottenne la loro attenzione. Trina non aveva mai acconsentito a trascorrere la notte con lui.
– Un pigiama party! – disse la bambina, lanciandosi in una ruota sghemba e colpendo il fianco di Trina mentre tirava giù le gambe.
– Davvero? – disse Serge.
Trina strinse i pugni lungo i fianchi per il suo continuo rispondere alle domande con altre domande. – Lascia perdere. Lo chiedo a Daphne.
– No, – gridò Abby, agitandosi.
Trina le diede un colpetto sulla nuca, più forte di quanto avrebbe voluto. La bambina inciampò e Serge si precipitò a prenderla prima che cadesse all’indietro.
Abby odiava andare dalla Regina Voodoo. Non osava toccare quella vecchia donna, spaventata per quanto aveva visto. Il suo appartamento, poi, puzzava come una casa di riposo, e l’unica cosa che faceva in quel periodo era starsene seduta sulla carrozzella a guardare il canale di cucina. Abby aveva appena trascorso con lei il venerdì sera, mentre Serge lavorava come barista e Trina organizzava un altro stupido addio al nubilato. Trina lo capiva, ma la bambina certe volte era così appiccicosa. Doveva imparare quando era ora di smetterla.
– Sapete che c’è? Se voi due non volete aiutarmi per questa piccola cosa, non importa, – disse Trina.
Serge andò da lei e la cinse con un braccio, poi mise l’altro intorno alle spalle di Abby, e le fece avvicinare. – Il tuo piano è perfetto, Trina. Va bene? Scusa, – disse.
– Scusa, – ripeté la bambina.
Trina era rigida e sentiva un dolore al petto, che si contraeva come se stesse cercando di rigettare il suo cuore inadeguato. Loro due che si scusavano, quando era lei ad essere nel torto, ma incapace di chiedere scusa a sua volta. Sopportò l’abbraccio di gruppo giusto il tempo di contare tre lunghi respiri, e poi li spinse via.
*
Trina era di cattivo umore con i suoi clienti quella sera. Era colpa della donna, delle stronzate che diceva sul buttarsi giù dal cavalcavia solo per ottenere ciò che voleva. Tutti e tre i clienti avevano un appuntamento fisso ogni settimana, e le permettevano di usare le sue abilità affinché li aiutasse a capire come farsi strada nelle loro vite complicate, cosa in cui Trina era effettivamente brava, se le persone avevano fiducia in lei. Ma era distratta, faticava ad ascoltarli. Ms. Theriot doveva averle chiesto una dozzina di volte se si sentiva bene. Mr. Bixby aveva trovato una scusa per andarsene prima. Il giorno dopo li avrebbe chiamati per rimettere a posto le cose.
Trina mescolò la marmellata di Abby in anticipo, in modo che la polvere bianca non spaventasse Serge. Quando entrarono, la bambina aveva i capelli asciutti e pettinati, la maggior parte del gesso rosso era andato via, era rimasta giusto qualche traccia di rosa sulle ciocche decolorate dietro la testa.
– Quella roba stava sporcando dappertutto, – disse lui. – Magari potresti riprovare il rosso domani, quando avrà smesso di piovere.
La bambina andò dritta verso il futon e iniziò a graffiarsi la pelle con le unghie mangiucchiate. Dondolava avanti e indietro, borbottando fra sé.
– Non sembra per niente in forma stasera, – disse Serge.
Appena suonò la sveglia, Trina porse a Abby il pane con la marmellata. Prima ancora di darci un morso, la bambina disse: – Sai che non basta. –
Strinse nel pugno la gonna di Trina e la strattonò. – Me ne serve di più. Lo sai che me ne serve di più.
– Su, – disse Trina. – Serge penserà che ti faccio morire di fame. Sai fare di meglio. – E tirò via la gonna dalla sua stretta.
Trina evitò di guardare Serge. Lo conosceva abbastanza da sapere che lui in realtà non avrebbe fatto domande, e voleva solo che la giornata finisse. Abby si stava abituando alla riduzione del dosaggio, e Trina non voleva che la donna arrivasse. Ma le aveva dato un appuntamento e lei avrebbe portato più soldi, abbastanza da coprire metà della caparra per rilevare il locale.
Appena finito il toast, la bambina andò su di giri. Montò sul futon, s’infilò dietro lo specchio, si arrampicò sul bancone della cucina e cercò di saltare sull’alto armadio che conteneva il flacone delle pillole. Fece lunghi saltelli in giro per la stanza e tornò da Trina, assumendo una posa esagerata, volgare. Poi aprì il coperchio del tavolino da caffè e ci entrò, chiudendosi dentro.
– Cristo, – disse Serge. – Ci sono chiodi arrugginiti e altre robacce lì dentro. Ed è una bara. – Guardò Trina come se si aspettasse una sua reazione, poi andò a tirare fuori Abby e le disse di non farlo mai più, che non era divertente. La bambina gli mostrò i denti quando la lasciò andare, e tornò a saltellare per la stanza.
Il campanellino tintinnò. Erano esattamente le dieci e un quarto e la donna stava cercando di aprire la porta chiusa a chiave.
– Serge, puoi pensarci tu? – domandò Trina, spegnendo tutte le lampade nella stanza tranne quella vicino allo specchio, così che l’insegna al neon con la scritta «Hellseer» illuminasse l’ambiente di un rosso tenue.
– Faccio io, – disse la bambina.
Trina prese un bel respiro per calmarsi. Il piano era semplice: Abby toccava la donna; Trina le chiedeva informazioni in privato; Serge e Abby se ne andavano; Trina congedava in fretta la donna. Non era così difficile da orchestrare.
Ma mentre piegava i paraventi intorno alla stanza da letto, sentì la bambina che parlava con tono piatto: – Tuo figlio. È malato. Hai bisogno di sapere se morirà.
No. La bambina non doveva parlare direttamente con i clienti, e lo sapeva. Trina si girò e vide le due scambiarsi una gelida stretta di mano. La donna era bagnata fradicia come se avesse aspettato fuori tutta la sera, il vestito di seta le si era appiccicato addosso.
Abby continuò. – Io te lo ricordo. Stessa età, stessa altezza, stessi occhi. Il modo in cui saltellavo verso di te al parco quel giorno. Il modo in cui ti ho toccato la gamba.
– Sì, – disse la donna. Si inginocchiò e Abby le prese la testa tra le mani.
Trina attraversò di corsa la stanza per raggiungerla, ma si fermò di colpo accanto a Serge, che era pietrificato.
La bambina disse: – Con il primo uomo è successo a Chicago. Una cosa innocente all’inizio, doveva essere solo un drink dopo il ricevimento. La seconda volta a Baton Rouge, quando sei andata a prendere quella deposizione. Poi hai inventato un lavoro a Tulsa dove hai rimorchiato un uomo in un bar. A Santa Fe, siete sgattaiolati via dal vicolo sul retro.
La donna si piegò all’indietro, staccandosi dalle mani della bambina, e crollò sul tappeto. – Basta.
Trina toccò il braccio di Serge e lui trasalì. – Portala via, – disse. – Prendila e portala via. Faccio presto.
Alla donna, Trina disse: – È solo questo che vuoi sapere? Se tuo figlio morirà? Posso dirtelo, ma non posso dirti come salvarlo. Che penso sia ciò che vuoi sapere davvero.
Abby saltò su e strillò in faccia a Trina: – Tu non puoi dirle niente! – Poi sbatté il suo corpicino contro di lei, ancora e ancora, finché le braccia di Serge la avvolsero, tirandola su.
Ma, a quel tocco, la bambina gli disse: – Tu pensi che non potrai mai presentare Trina ai tuoi genitori. È troppo rozza. Ma non t’importa, tra lei e loro, sceglieresti lei. Vorresti dei figli, ma a volte quando la vedi insieme a me pensi che non le lasceresti mai tuo figlio.
Serge la adagiò a terra e indietreggiò fino alla parete, accanto allo specchio. La donna si insinuò tra loro. – Ho solo bisogno di sapere se Jackson morirà. Se solo lo sapessi, mi sentirei più tranquilla, smetterei di torturare me stessa e i miei famigliari. Anche se la risposta fosse un sì.
La bambina le gridò in faccia: – Dammi più medicina e te lo dico!
Era troppo. Trina prese Abby e la atterrò sui cuscini accanto alla bara, avvolgendola con le gambe per bloccarla mentre si dibatteva.
La bambina sbraitò: – Tu pensi che sarebbe tutto più facile senza di me. Credi di non meritarti niente!
– Zitta. – Trina le posò una mano sulla bocca. Si rivolse alla donna: – Hai portato i soldi?
– La prego, – disse lei. – Le banche oggi sono chiuse. Ho superato il massimo giornaliero.
Trina chiuse gli occhi un momento e restò ad ascoltare la bambina che respirava affannosamente dal naso. Sentì la donna toccarle la spalla e le afferrò il polso.
Quella donna doveva già essere convinta che suo figlio sarebbe morto, altrimenti non sarebbe stata in quella stanza. Trina la guardò negli occhi e le disse quello che aveva bisogno di sentire: – Tra dieci anni dormirai accanto a un uomo dicendo che non avresti mai pensato di poter essere così felice. Tra diciotto mesi vedrai il tuo attuale marito per l’ultima volta dopo il divorzio. L’ultimo giorno d’estate Jackson morirà serenamente mentre tu gli terrai la mano, perché ora andrai a casa e da questo momento in poi rimarrai sempre al suo fianco.
Trina liberò il polso della donna e la bocca di Abby, poi appoggiò la testa sui cuscini, stringendo a sé la bambina. Odorava di shampoo e sudore e tracce di ammoniaca. Era come se fosse una calamita a tenerle legate, una forza di attrazione violenta che non poteva essere spezzata, rafforzata dai bisogni della bambina, dal fatto che nessun altro al mondo a parte Trina si sarebbe preso cura di lei. Quando Trina aveva trovato Abby sulla panchina della stazione dei tram, si era chinata per controllare il battito. La bambina le aveva preso la mano e, dopo un momento, aveva detto: Tu hai intenzione di farti i fatti tuoi e lasciare una bambina da sola a morire. Ed era vero, Trina stava proprio pensando che se si fosse preoccupata di ogni vagabondo della città non avrebbe avuto tempo per nient’altro.
Da qualche parte in lontananza il campanellino segnalò che la donna se n’era andata. Trina alzò gli occhi verso Serge, ancora fermo vicino allo specchio. Quando incrociò il suo sguardo, lui si voltò. Un istante dopo, il campanellino suonò di nuovo.
Abby avrebbe trascorso la notte così perché Trina sarebbe rimasta esattamente lì con lei fino al momento di prendere di nuovo la medicina, se fosse stato necessario. E alla volta dopo, e a quella dopo ancora, la bambina poteva anche lottare con tutte le sue forze. L’indomani Abby avrebbe preso di nuovo mezza compressa e quando, come tutte le bambine della sua età, avrebbe cominciato la scuola in autunno, ne avrebbe preso solo un quarto. Alla fine avrebbe smesso del tutto…
Abby gemette e il cuore le batté forte. Trina la cullò, lisciandole i capelli.
Ma non era ancora il momento di pensarci. Anche considerando certi comportamenti di Abby, come l’aver fatto amicizia con quel buffo bambino dagli occhi a palla al parco o l’aver iniziato a collezionare sassi dalle forme particolari, che teneva nel suo angolino della stanza da letto, non sarebbe stato possibile senza che prima si fosse disintossicata. E un quarto di pillola non era molto, in realtà. Non se aveva la droga nel sangue da quando era nata e se nessun altro credeva che ci fossero delle speranze. Non aveva importanza; toccava a Trina ora. Non era vero che era rozza. Aveva istinti materni che mai avrebbe immaginato di possedere. E loro due insieme avrebbero guadagnato il denaro necessario per rilevare il locale dalla Regina Voodoo. E avrebbero preso un appartamento, un bell’appartamento, magari anche una casa…
– Quella grande casa verde con le altalene nel portico vicino alla gelateria, – sussurrò Abby e tirò su col naso tappato.
Sì, si sarebbero trasferite nella villa di St. Claire Avenue. Perché no? Con Abby al suo fianco, Trina sarebbe stata rispettata. Sarebbe diventata famosa…
– Perché sono la tua apprendista, – disse Abby, il battito che rallentava.
Perché Abby era la sua apprendista. Non ci sarebbe stato bisogno di andare in giro sforzandosi di trovare i clienti perché sarebbero arrivati a frotte: i bisboccioni di Bourbon Street, i fedeli ipocriti, le suore ossessionate dalla morte, i frequentatori di cimiteri, bar, parchi, musei…
– L’uomo d’argento sul lungofiume che si muove come un robot se gli dai qualche moneta.
Sì, anche l’uomo d’argento. L’intera folla di questa città maledetta. Lei, Madame Trinae, sarebbe stata Hellseer di tutti!
– Andiamo, – disse Trina.
Si alzarono e tirò su la bambina, appoggiandola sul suo fianco e cullandola al petto come una bambola. Anche se le bambole non sono così pesanti, non hanno gambe così lunghe, i piedi non ti colpiscono lo stinco a ogni passo, e non si puliscono il moccolo sulla tua spalla di dopo aver fatto i capricci. Trina spense la luce e l’insegna al neon, chiuse a chiave la porta, e portò Abby al futon attraverso la stanza immersa nell’oscurità, cercando di non inciampare.
***
Hellseer, # 2
Serge followed them back across the street, rolling the coffin on a dolly. The breezy day had turned into brisk wind and dark clouds. It was raining hard enough that most people had sought shelter, but even if the streets had still been crowded, the woman standing in front of Trina’s shop bent over trying to peer through the blinds would have stood out. She wore a powder blue silk dress and silver sandals, her blonde hair swept into a bun that drooped with the raindrops she didn’t seem to notice. She carried a fancy leather bag that was definitely not a French Market knockoff. She looked expensive. And slightly familiar.
Trina didn’t like the woman. Even if she didn’t have a gift like Abby’s, she was still good at reading people. She worked the key in the lock and opened the door without acknowledging her.
“Madame Trinae?” the woman said, standing up straight. She was taller than Serge.
Trina opened the door and told Abby and Serge to go in. She closed the door behind them and stood in the rain with the woman. “Yes?”
“I need to see you. Right away.” The woman had dark circles under bloodshot eyes. She spoke with her shoulders back. She was used to getting her way.
Trina handed her a business card. “I’m in the middle of something right now, and I’m by appointment only. My website’s on the back with a link to schedule online.”
Trina turned to go inside, but the woman moved around her and cut her off. “I already have your card,” she said. “You gave it to me a few weeks ago. I was sitting on a park bench in Coliseum Square, across from my law office. You had your daughter with you.”
“She’s not my daughter,” Trina said, and instantly regretted telling the woman anything about her life. She crossed her arms over her chest, feeling exposed in her white dress that was becoming see-through in the rain. “She’s my sister.”
“You had her with you,” the woman said, pointing at the shop. “I remember because she came up to me and touched my leg, smiled up at me so sweetly. A few minutes later when I got up to go back to work, you walked over and said, ‘Are you finally going to get the nerve to abandon your family? I’m Madame Trinae, and I can help you see.’ I don’t know if I’ve slept since.”
Trina remembered now. The woman had made even a dingy park bench look like a throne, sitting regal in a silk dress, emerald green and black, which probably cost more than two months of Trina’s rent. And she’d looked miserable, as if an overprivileged lady like her could know hardship. Abby had told Trina that the woman used any excuse to travel for work so that she could be away from her husband and son. That she couldn’t bear to be around them. It wasn’t an accident that Trina’s words hadn’t been kind – when she’d approached, the woman had shooed her away with a dismissive no, thanks before she’d even said a word.
“So make an appointment.”
The woman reached into her purse and removed an envelope. “Here’s five hundred cash.
But I need you to see me now.”
Trina took the envelope and held it close to her chest. “I can give you a reading, though I don’t generally take walk-ins. It’s how I like to start out with new clients, get a sense of where you are and how we might best work together.”
“I just need you to tell me one thing,” she said. “Only one thing.” “What do you need to know?”
The woman shook her head.
“If you want to know something specific, something about your future,” Trina said. “It’ll take several sessions.”
“I don’t have time for that. If it’s more money you want, I can get it.”
Of course Trina wanted money, but the way this woman threw it around like it had no meaning, in a city with so many people struggling just to make a life, like money didn’t mean freedom and stability and long-term plans, it was infuriating. Tacky. Trina rubbed her rain-wet cheek and her hand came away with running mascara. She stretched the neck of her dress and used it to wipe her face clean, ruining the white cotton.
The little bell on the shop door dinged and Abby peeked her head out. “Get!” Trina said, and the girl closed the door.
She looked the woman in the face. “Bring me another thousand and meet me here at ten fifteen tonight.”
The woman shrank back. “I can’t wait that long. I was on my way to throw myself off the three-ten overpass before I made up my mind to come here.”
Trina regarded the woman for a moment and then gave a short laugh. “Come at ten fifteen or don’t. I really don’t care. But if you do come, don’t be late.” She opened the door to her shop, waved the envelope, and called over her shoulder, “And don’t be early, either.”
*
Trina couldn’t tell the woman anything without getting some information from Abby. Plus, she had her regular Sunday clients to think about. The woman would have to wait until after the clients left and Abby took her bedtime pill at ten o’clock – Trina wasn’t going to change her schedule just because the woman came waving her money around. Serge would need to babysit Abby and bring her home in time for her pill as usual. The drug would kick in so the girl would feel better before the woman showed up, and Trina could pull the girl aside and get what she needed. Serge and Abby would leave again. Easy.
Trina locked the shop door behind her. The coffee-table coffin sat in place near the mirror and Serge was positioning the chairs and cushions around it.
The girl ran up and burrowed her head on Trina’s belly. “I still feel crappy,” she said.
Trina pushed her off and looked at the red spot on her dress where the girl’s damp hair chalk left a mark to accompany the black mascara stain. She pulled her wet dress over her head, shivering in her underwear even though it wasn’t particularly cold. “Fuck,” she said. She went over to the freestanding closet that stood by her futon, put the money in a drawer, got a robe off the hanger, and tossed the ruined dress in the trash.
The girl followed her and hung onto her leg like a baby.
Trina shook her off and said to Serge, “When you bring her back tonight, can you stay here for a little while so she can meet a new client, and then take her home with you again?”
“What? Serge said.
The girl said, “I don’t feel like it tonight.”
“I’ll meet you after at your place, and we can all spend the night.”
This got their attention. Trina had never agreed to spend the night before.
“A sleepover!” the girl said, attempting a lopsided cartwheel and kicking Trina’s hip on the way down.
“Really?” Serge said.
His one-word-question responses made Trina clench her hands into fists at her side. “Forget it. I can ask Daphne.”
“No,” Abby said, hopping up and shouting at Trina.
Trina hit her on the side of the head, harder than she’d meant. The girl stumbled backward and Serge rushed over to catch her before she fell.
The girl hated going to the Voodoo Queen’s. She wouldn’t touch the old woman, afraid of what she saw. Plus, her apartment smelled like a nursing home and all she did these days was sit in her wheelchair and watch the Cooking Channel. Abby had just had to spend Friday evening there while Serge bartended and Trina worked another goddamn bachelorette party. Trina understood, but the girl, she was just so clingy sometimes. She needed to learn when to back off.
“You know what? If you two can’t help me with this one thing, never mind,” Trina said.
Serge came over and put one arm around her shoulder, the other around the girl’s, and pulled them all together. “Your plan’s fine, Trina. Okay? I’m sorry,” he said.
“I’m sorry,” the girl echoed.
Trina stood rigid and felt her chest ache, contracting as if trying to reject her inadequate heart. The two of them apologizing when she was the one in the wrong, but too deficient to say sorry herself. She endured the group embrace for the amount of time it took her to count three long breaths, and then pulled away.
*
Trina was out of sorts with her clients that evening. She blamed the woman, spouting garbage about throwing herself off an overpass just to get her way. All three clients were weekly regulars who let her use her tools to help them navigate their complicated lives, something Trina was actually good at when people would just trust her to do her job. But she’d been distracted, found it hard to listen. Ms. Theriot must have asked her a dozen times if she was okay. Mr.
Bixby made an excuse and left early. She’d have to call them tomorrow and make it right.
Trina mixed the girl’s jam ahead of time so that the white powder didn’t freak out Serge. When they came in, the girl’s hair was wet and combed, most of the red chalk out, just a pinkish trace left behind in the bleached strands.
“That stuff was getting all over everything,” he said. “I figured you could try the red again tomorrow when the rain stops.”
The girl went straight to the futon to scratch at her skin with her nubby nails. She rocked back and forth, muttering to herself.
“She seems extra not good tonight,” Serge said.
The moment her phone alarm went off, Trina handed the toast and jam to the girl.
Before she even took a bite, the girl said, “You know that’s not enough.” She grabbed a handful of Trina’s skirt and yanked on it. “I need more. You know I need more.”
“Come on,” Trina said. “Serge is going to think I’m starving you. You know better than that.” She pulled her skirt from the girl’s grasp.
Trina avoided looking at Serge. She knew him well enough to know he wouldn’t actually ask, and she just wanted the day to be over. Abby was adjusting to the change in her dosage, and Trina did not want the woman to come. But she’d made the appointment and the woman was bringing more money, enough to cover half of the security deposit the landlord would require when she took over the lease.
Soon after finishing her toast, the girl became hyper. She jumped on the futon, snaked behind the mirror, climbed onto the kitchen counter and tried to jump for the high cabinet that held the pill bottle. She took long skips around the room and turned back to Trina, posing, exaggerated, vulgar. Then she opened the lid on the coffee table and got inside, closing herself in.
“Jesus Christ,” Serge said. “There’s rusty nails and stuff in there. And it’s a coffin.” He looked at Trina as if he expected something from her, then went and pulled Abby out, told her to never do that again, that it wasn’t funny. The girl bared her teeth at him until he let her go, and then resumed skipping around the room.
The bell jingled. It was ten-fifteen sharp, the woman trying to enter through the locked door.
“Serge, can you get that?” Trina asked, walking around to turn off all the lamps except the one by the mirror so that the neon Hellseer sign made the room glow a soft red.
“I got it,” the girl said.
Trina took a breath to calm herself. The plan was easy: Abby touches the woman; Trina gets Abby alone for information; Serge and Abby leave; Trina hurries the woman away. It wasn’t that difficult to orchestrate.
Except while Trina unfolded the screens around her bedroom, she heard the girl speak in a monotone: “Your son. He’s so sick. You need to know if he’s going to die.”
No. The girl was not supposed to speak directly to a client, and she knew that. Trina turned to see her and the woman in a frozen handshake. The woman was drenched from the rain as if she’d waited outside all evening, her silk dress plastered to her body.
Abby continued. “I remind you of him. My age, my height, my eyes. The way I skipped up to you in the park that day. The way I touched your leg.”
“Yes,” the woman said. She knelt and Abby put her hands to the sides of the woman’s head.
Trina rushed across the room to them, but stopped short next to Serge, who stood transfixed.
The girl said, “The first man was in Chicago. Innocent at first, supposed to just be a drink after the reception. The next man was in Baton Rouge when you went to take that deposition.
Then you invented a work thing in Tulsa where you picked up a man in a bar. In Santa Fe, the two of you just slipped out to the back alleyway –”
The woman pitched backward, away from the girl’s hands, and collapsed on the rug.
“Stop.”
Trina touched Serge’s arm and he startled. “Take her away,” she said. “Pick her up and take her. I’ll be over soon.”
To the woman, Trina said, “Is that all you want to know? If your son’s going to die? I can tell you if, but I can’t tell you what you could do to save him. I think that’s what you really want to know.”
Abby jumped up and yelled in Trina’s face, “You can’t tell her anything!” Then she rammed her small body into Trina over and over until finally Serge wrapped his arms around the girl and picked her up.
But at his touch, the girl spoke to Serge: “You don’t think you can ever bring Trina home to meet your parents. They’ll think she’s too trashy. But you might not care, you might choose her over them. You think about having kids with her, but sometimes when you see her with me, you think you could never let her near a child of yours.”
Serge set the girl down gently and backed up against the wall by the mirror.
The woman crawled toward them. “I just need to know if Jackson’s going to die. If I just knew, I could be calm, stop torturing myself and my family. Even if the answer is yes.”
The girl screamed in the woman’s face. “Give me more medicine and I’ll tell you!”
That was it. Trina took hold of the girl and wrestled her onto the floor cushions next to the coffin, wrapping her legs around her to hold her body in place as she thrashed.
The girl shouted at Trina, “You think it would be easier if I weren’t here. You don’t think you deserve anything good.”
“Quiet.” Trina clasped her hand over the girl’s mouth. To the woman, she said, “Do you have the money?”
“Please,” the woman said. “The banks are closed today. I hit the ATM limit.”
Trina closed her eyes for a moment and listened to the girl suck frantic breaths through her nose. When she felt the woman touch her shoulder, she grasped her wrist.
The woman had to believe her son was going to die, otherwise she would not be in this room. Trina looked into her eyes and told her what she needed to hear: “In ten years you’ll lie in bed with a man and say you could never have imagined yourself so happy. In eighteen months you’ll see your current husband for the last time after your divorce is finalized. On the last day of this summer, Jackson will die peacefully while you hold his hand because you’re going home right now and not leaving his side again.”
Trina released the woman’s wrist and uncovered the girl’s mouth, then rested her head on the cushions, holding the girl tight. Abby smelled of shampoo and sweat and traces of bleach. It was as if a magnet connected the two of them, a violent pull that couldn’t be broken, powered by the girl’s need, by the fact that no one else in the world but Trina could care for her. When Trina had found Abby on the bench at the streetcar station, she had bent down to check for a pulse. The girl had taken her hand and, after a moment, said, You wish you could mind your own business and leave a little girl alone to die. And it was true, Trina had just been thinking that if she worried about every stray in the city, she wouldn’t have time for anything else.
Somewhere in the periphery the bell signaled the woman leaving. Trina looked up to see Serge still standing by the mirror. When their eyes met, he turned away. After a moment, the bell dinged again.
Abby would get through the night because Trina would stay right there with her until it was time for her next dose if that’s what it took. And the dose after that and the dose after that, even if the girl fought her every step of the way. Tomorrow Abby would again take half a tablet and when, like every other little girl her age, she started school in the fall, she would only take a quarter. Eventually she might take none –
Abby moaned and her heart thumped. Trina rocked her and smoothed her hair.
But they didn’t have to think about that right now. Even though certain recent things that Abby had done, like make friends with that funny bug-eyed boy in the park or start her collection of cool-shaped rocks that she kept in her corner of their bedroom, would not have been possible without weaning. And a quarter pill wasn’t much at all, really. Not when the drug had been in her blood since birth and anyone else would have said she didn’t stand a chance. That didn’t matter; Trina was in charge. She wasn’t trash. She was the one with the maternal instincts she would never have never guessed she possessed. And the two of them together, they would earn the money to take over the lease from the Voodoo Queen. And they’d move into an apartment, a nice apartment, eventually even a house –
“That big green house with the porch swings over by the ice cream shop,” Abby whispered and sniffled her stuffy nose.
Yes, they’d move into a St. Charles Avenue mansion. Why not? Because with Abby by her side, Trina would be respected. She’d be famous –
“Because I’m your apprentice,” Abby said, her heartrate slowing.
Because Abby was her apprentice. They wouldn’t have to go out hustling to find clients because they’d all come flocking: the Bourbon Street revelers, the hypocritical churchgoers, the death-obsessed nuns, the frequenters of the cemeteries and cafes and parks and museums –
“The silver guy at the river walk who moves like a robot when you give him money.” Yes, the silver guy, too. The entire masses of this haunted city. She, Madame Trinae, would be Hellseer to All! “Come on,” Trina said.
They stood and she picked up the girl, propping her on her hip and cradling her to her chest like a doll. Except that dolls weren’t that heavy, didn’t have legs so long that their feet knocked Trina’s shin at each step, didn’t wipe post-tantrum snot noses on Trina’s shoulder. Trina turned off the lamp, locked the door, and switched off the red neon sign, then carried Abby across the dark room toward their futon, trying not to stumble along the way.
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Questa uscita di Abbecedari ha un legame speciale alla prossima. Qui, Marianna Vitale traduce in italiano il racconto “Hellseer” dall’originale inglese di Laura Venita Green; nell’uscita del 19 gennaio 2022, Laura Venita Green tradurrà in inglese un racconto in originale italiano di Marianna Vitale.
Ringraziamo la Literary Translation at Columbia (LTAC), Columbia University MFA Writing Program, e la Ugly Duckling Presse, editrice dell’antologia 2020 Word for Word Workshop ebook, concepita e stampata in edizione limitata da Matvei Yankelevich e Ugly Duckling Presse, con i racconti e le traduzioni dei partecipanti al Literary Translation at Columbia, per aver gentilmente concesso la pubblicazione del racconto e della traduzione.
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Commento della traduttrice
“Hellseer” fa parte di una raccolta di racconti dedicata all’universo femminile, che vuole esplorane relazioni e dinamiche di potere, indagando momenti diversi della vita di diverse donne. Il racconto è ambientato in Louisiana ed è incentrato sul conflitto generato dal prendersi cura di un’altra persona cercando allo stesso tempo di gestire i propri interessi. Se Trina, la protagonista del racconto, inizialmente ha preso con sé la piccola Abby solo per le sue abilità, ben presto inizia ad affezionarsi alla bambina fino a provare per lei un istinto materno, che mai avrebbe pensato di possedere. Tra capacità di chiaroveggenza e descrizioni vivide della città di New Orleans, i personaggi di questo racconto ci vengono presentati in tutta la loro contraddizione, tipica dell’umano.
Il lavoro di traduzione mi ha portata a esplorare i luoghi e le descrizioni, che volevo rendere con la stessa precisione con cui erano state scritte, a scavare nelle parole, a cercare un gergo adatto per le diverse voci dei personaggi, ai quali mi sono affezionata subito.
“Hellseer” è un racconto che appassiona e che ti resta dentro, così come i suoi protagonisti.
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L’autrice
Laura Venita Green si sta specializzando in narrativa presso la Columbia University, dove tiene anche un corso di scrittura per gli iscritti alla laurea triennale. Ha pubblicato su Fatal Flaw e ha tradotto un racconto per il World Literature Today. Cresciuta in Louisiana, vive a New York con suo marito. Contatti social: Facebook, Instagram.
La traduttrice
Marianna Vitale è diplomata in scrittura alla Scuola Holden di Torino. Riminese, classe ’93, amante del mare e dei racconti brevi, ha pubblicato su Rivista Blam, Tropismi e sul World Literature Today, nella traduzione di Laura Venita Green. Contatti social: Facebook, Instagram.
Copertina originale di Gianmarco De Chiara