Racconto di Marianna Vitale
Traduzione di Laura Venita Green
Racconto e traduzione pubblicati nell’antologia 2020 Word for Word Workshop ebook
Quel tratto di spiaggia libera tra Rimini e Riccione è terra di nessuno, cinquecento metri esatti di vuoto tra un cartello di fine e uno di inizio. È lì che Vera stende sempre il suo asciugamano, in quella lingua di sabbia che sulla carta non esiste. Il momento della giornata che preferisce è il pomeriggio tardi, un’ora prima del tramonto, quando i turisti sono tornati in albergo per la cena, il vento si è addormentato e il sole proietta ombre lunghe sulle cose. Le piace rimanere sola, con un libro qualsiasi – non quello che le hanno dato a scuola – e lo stridio dei gabbiani come sottofondo sul tutto. Sceglie un posto vicino alla riva, spiega il telo e si siede, si toglie la maglietta e la ripiega con cura. Sistema le infradito da una parte, accanto alla borsa, e tira fuori il libro. Poi si lega i capelli in alto sulla nuca, per permettere al collo di abbronzarsi. Una ciocca troppo corta le ricade sul viso, lei non la sposta.
Comincia a leggere, sa che non andrà più avanti di qualche pagina perché verrà distratta da qualcuno che passeggia, un’onda che le raggiunge i piedi, un cane che le annusa la borsa. Non le importa – in quel momento si sente bene – sorride ai passanti, lascia che i piedi si bagnino, accarezza il cane. La lettura, in fondo, è solo una scusa.
«Che stai leggendo?»
Sul libro di Vera si disegna l’ombra di un ragazzo coi capelli a spazzola. Lei, istintivamente, lo chiude e lo appoggia sulla sabbia, dall’altro lato.
«Non stavo leggendo.»
«Ok.»
L’ombra non se ne va, Vera alza gli occhi ma ha il sole contro e non riesce a capire chi ha davanti.
«Ci conosciamo?»
«No, piacere, Luca. Sto a quell’ombrellone laggiù.»
Lei segue con lo sguardo il suo dito, che sta indicando lo stabilimento a pochi metri da lì.
«Vera.»
Gli stringe la mano anche se non è ancora riuscita a vederlo in volto.
«Sei di qui?»
«Sì, infatti stavo per andare a casa.»
«Messaggio ricevuto.»
Lui fa finta di andarsene, ma ci ripensa.
«È che sono in vacanza coi miei nonni e ho passato tutta la giornata con loro… Pensavo di andare a fare un bagno, magari ti va di venire…»
«Un bagno?»
«Scusa, forse non ti va» dice accorgendosi che lei porta ancora gli shorts.
Vera guarda il mare, le onde calme, la schiuma leggera. Sa che a quell’ora l’acqua è tiepida al punto giusto.
«In realtà mi va» dice, ma non si muove.
«Ok.»
Luca si siede accanto a lei, senza aggiungere altro.
«Io faccio lo scientifico. Ultimo anno» dice dopo alcuni minuti.
«Artistico.»
«Io sono una frana a disegnare, sono bravo solo con i numeri.»
«Io odio disegnare.»
«E allora perché hai scelto…»
«Mi piace fotografare.»
Vera si volta e finalmente lo vede: gli occhi grigioverdi, i segni dell’acne sulla fronte e sulle guance. Lui abbassa lo sguardo.
«Scommetto che tu sei uno da media dell’otto.»
«Si vede così tanto?»
Lei si gira dall’altra parte, nascondendo un accenno di sorriso. A quest’ora il cielo è così limpido che il promontorio di Gabicce si vede per intero e sembra quasi di poterlo toccare allungando una mano.
«Tu invece non studi tanto, eh?»
«Solo quando ne ho voglia.»
«Cioè mai.»
«Quasi mai.»
«Sei stata rimandata?»
«Matematica, chimica, storia.»
«Storia?»
«La prof è una stronza.»
«Immagino.»
«Mi prendi per il culo?»
«No, no, ci credo, ci credo.»
«Vabbè ma tanto non me ne frega se mi bocciano.»
«Invece secondo me ti frega.»
«Tanto non lo so cosa voglio fare nella vita.»
«Non hai detto che ti piace fotografare?»
Vera non risponde. «Tu cosa vuoi fare?»
Luca ci pensa su un istante. «Non ho ancora deciso.»
«Però non vedi l’ora di finire il liceo.»
«Sì, certo.»
«E perché?»
«Perché voglio andarmene di casa il prima possibile.»
«E questo pensiero ti fa stare meglio?»
«Perché, a te no?»
«Non lo so, credo di no.»
Vera rimane a fissare l’orizzonte, sempre più sfumato, mentre il cielo sembra liquido.
«Mi sono sempre chiesto com’è abitare al mare» fa lui, dopo un po’.
Vera si scioglie i capelli, ci infila le mani e li pettina lentamente con le dita. «Come tutte le cose che hai sempre a portata di mano, dopo un po’ ti stanca» dice.
«Io penso che mi piacerebbe.»
«Certi giorni non ci vengo neanche, perché a volte non ne ho voglia» fa lei, come se dovesse giustificarsi. «E poi le persone che incontro qui se ne vanno sempre.»
Luca accarezza un po’ la sabbia, ci affonda dentro la mano sinistra e ne prende una manciata, poi se la lascia scivolare tra le dita.
«E dove ti piacerebbe abitare?»
Lei guarda verso sud. «In un posto pieno di colori, tipo l’India.»
«E ci vivresti sul serio? Tutto l’anno?»
«Credo di sì.»
«E non ti stancheresti anche dei colori, dopo un po’?»
«Possibile. Io mi stanco di tutto.» Alza la testa e punta gli occhi in quelli del ragazzo. Si accorge che ora sono più verdi. «Pensi che crescendo andrà meglio?»
«Mi piace pensarlo.»
Vera abbassa di nuovo lo sguardo. «E tu dove vorresti abitare?»
«A Rimini, per esempio.»
«Ma dai!»
«No, dico sul serio. Mi è sempre piaciuta l’idea di abitare in un posto dove la gente va in vacanza. Mi farebbe sentire importante.»
«I turisti danno fastidio dopo un po’.»
Lui ride. «Sì, soprattutto alcuni.» E riesce a strappare un sorriso anche a lei.
«Facciamo che mi dici tutte le cose che ancora non ti hanno ancora stancato.»
«E perché dovrei dirtele?»
Lui alza le spalle. «Così. È un gioco.»
«Non so se ce ne sono.»
«Qualcosa ci sarà.»
Vera finge di pensarci. «Le lasagne?»
«È già un inizio.»
«Ma se le mangiassi tutti i giorni mi stancherei anche di quelle.»
«Però ancora non è successo.»
«Ok, hai ragione.»
«Poi?»
«Il mio gatto, forse.»
«Puoi fare di meglio.»
Questa volta Vera ci pensa davvero. «Ascoltare la musica con gli occhi chiusi. Quello non mi stanca, e lo faccio ogni sera.»
Luca annuisce. «Ecco, vedi?» Le rivolge un debole sorriso, ma lei non lo sta guardando.
«Ora sta a te.»
«Che cosa?»
«Dirmi tre cose che ti piace fare. E non vale dire “studiare”.»
«Non volevo mica dirlo.»
Vera lo guarda di sottecchi, come per vedere se è sincero, e non commenta.
«Ok, allora… Sciare, guidare la macchina e leggere fumetti.»
«Sei un secchione» dice lei. «E sei anche molto noioso.»
Poi all’improvviso si alza, si sfila gli shorts e li ripone nella borsa. Senza voltarsi, si incammina verso il mare.
Prima che l’acqua le arrivi almeno alla pancia, Vera deve fare diversi metri. Cammina in fretta perché sente addosso lo sguardo di Luca. È sicura che le stia guardando il sedere – lei sa che è troppo grosso – o peggio ancora le cosce.
Ma Luca non la sta guardando affatto, tiene gli occhi incollati al fondale perché ha paura dei granchi e a malapena si è bagnato le caviglie.
Lei non lo aspetta, si immerge, nuota un po’ come le viene, lascia filtrare l’acqua tra i capelli e li tira indietro sulla fronte. Si sistema il costume sul seno, ché ogni volta che si tuffa le si sposta da un lato.
Finalmente Luca la raggiunge. I due corpi si mantengono a debita distanza.
«Sei brava a nuotare.»
«Me la cavo» fa lei. «Tu invece no.»
Luca scuote la testa, ridendo. «Io no, infatti. Ma io vengo dal nord quindi sono giustificato.»
Vera rimane a fissare le sue ciglia, così lunghe e folte, quasi femminili. Se riuscisse a isolare gli occhi di Luca dal resto del volto potrebbe anche pensare che è carino.
«Voglio farti provare una cosa, ma dobbiamo andare dove non si tocca. Ce la fai?»
Lui la guarda aggrottando le sopracciglia.
«Non pensare male. Fidati.»
«Ok.»
Vera nuota verso il largo e lui la segue, le sta dietro a fatica. Lei questa volta lo controlla, e di tanto in tanto rallenta per aspettarlo.
Si fermano davanti a una grossa boa arancione, ancorata a terra con una fune spessa e ruvida, che disegna il confine oltre il quale non si può più andare. Una linea immaginaria tra la natura addomesticata e quella incontrollabile.
«Aggrappati qui» dice Vera, e gli fa vedere come deve fare: si tiene alla boa con le mani e lascia andare prima le gambe, poi tutto il resto. Il corpo che fluttua in orizzontale, i piedi che si muovono come se stesse correndo.
Luca la guarda, un po’ titubante, poi la imita. Tira su un piede e poi l’altro. Chiude gli occhi. E subito si rende conto di cosa significhi abbandonarsi alle correnti sotterranee e sentire che quel corpo quasi non ti appartiene più, che non sei tu a guidarlo.
«Certe volte la corrente è più forte, e sembra quasi di viaggiare» spiega Vera. «Ma anche così non è tanto male, no?»
Lui annuisce.
Rimangono immobili per diversi minuti, i corpi che si sfiorano appena, ancorati alla boa e abbandonati al mare.
Luca pensa che dovrebbe dire qualcosa, ma non trova le parole adatte. Si concentra sul rumore delle onde e sulle grida dei gabbiani – i capelli lunghi di lei che ogni tanto gli accarezzano una spalla e gli fanno il solletico. Prova anche lui a muovere i piedi, sente la differenza tra l’acqua che scorre, fredda, sul fondo e quella calda che ha sotto la pancia. Dieci gradi di differenza a una gamba di distanza.
Vera è la prima a staccarsi, e senza dire nulla nuota lentamente verso la riva. Si avvolge nell’asciugamano prima che Luca la raggiunga.
«Non sono stata del tutto sincera prima.»
Sono di nuovo seduti uno accanto all’altra nella sabbia, lo sguardo perso nel vuoto.
«Lo so cosa non mi ha ancora stancata.»
Vera si porta le ginocchia al petto e si stringe nell’asciugamano perché il vento ha ricominciato a soffiare e gli ultimi raggi di sole sono oscurati dai palazzi.
Luca non dice nulla, aspetta che sia lei a continuare.
«Quando mio babbo torna dal lavoro la sera, dopo che è stato fuori tutto il giorno. Lo sento mentre fa le scale e fischietta qualcosa, poi entra in casa e mi prende in braccio, come quando ero piccola, mi solleva completamente e mi fa fare una giravolta. Io annuso il suo profumo, che è lo stesso da quando lo ricordo, e chiudo gli occhi. È come avere cinque anni per sempre, e non avere più paura di niente. Di questo non mi stanco mai.»
Sospira, si prende i piedi con le mani e si dondola leggermente avanti e indietro. Un’oscillazione lieve.
«Però certe volte mi dà fastidio che mi tratti come una bambina. Non lo vuole proprio capire che sono grande per queste cose.»
Luca sorride, ma è un sorriso impercettibile, che tiene racchiuso dentro di sé.
«Mio padre se n’è andato un anno fa.» Lo dice come se fosse la prima volta che pronuncia queste parole ad alta voce. «Per questo sono in vacanza coi nonni. Mamma lavora, e poi qui non ci vuole più venire.»
«Perché no?»
«Perché qui è stata felice, e non vuole più ricordarselo.»
«Mi dispiace» dice lei, quasi sussurrando.
«Penso che ci si abitui a tutto, dopo un po’» dice lui, e sembra ancora che stia riflettendo a voce alta.
Vera fa un cenno di assenso. Con la testa piegata da un lato riprende a guardarlo. Prima ne studia il profilo: il naso appuntito, le labbra sottili, il mento sporgente. Poi si sofferma ad osservare i minuscoli granelli di sale incastrati tra le ciglia, quelle ciglia che vorrebbe avere anche lei. Si accorge che quello è il momento, che non ce ne sarà uno migliore.
Lo abbraccia.
Lo fa spostando leggermente il sedere nella sabbia e buttando il peso da una parte. Lo avvolge un po’ col braccio sinistro, con il destro tiene l’asciugamano che le sta scivolando via. Non è una stretta forte, è solo un gesto accennato. Annusa il suo odore, un misto di salsedine e sudore giovane, che le dà la nausea.
Luca fa un solo movimento: appoggia la mano destra sulla mano sinistra di Vera, e la strofina, come una carezza maldestra.
Forse perché li hanno visti – o soltanto perché si è fatto tardi – i nonni lo chiamano da lontano.
Vera si stacca subito.
«Devo andare» fa lui, mentre si alza.
Si salutano soltanto con la mano, Vera lo guarda allontanarsi e voltarsi solo per un istante, come se ci avesse ripensato.
Ma è solo un istante.
***
Boundaries
The stretch of public beach between Rimini and Riccione is a no man’s land, precisely five hundred meters of empty space with signposts that mark where it begins and where it ends. It’s there, on that strip of sand that doesn’t exist on any map, that Vera always spreads her towel. Late afternoon is her favorite time of day, an hour before sunset, when the tourists have gone back to their hotels for dinner, the wind has drifted off, and the sun casts long shadows. She likes to be alone with a book—any book, as long as it’s not assigned for school—with the soundtrack of screeching seagulls in the background. She chooses a spot near the water, lays out her towel, removes and carefully folds her t-shirt, and sits. She arranges her flip-flops next to her bag and pulls out her book. Then she ties her hair up high so that her neck can tan. Some of it’s too short for the ponytail and falls across her face, but she doesn’t try to tuck it back.
She starts to read, knowing that she won’t get past a few pages before something distracts her: a person strolling by, a wave reaching her feet, a dog sniffing at her bag. It doesn’t matter because right now she feels good—she’ll smile at passersby, let her feet get wet, pet the dog. The book is just an excuse, after all.
“What are you reading?”
The silhouette of a boy with short, bushy hair falls over Vera’s book and she shuts it instinctively, setting it down on the opposite side.
“I wasn’t reading.”
“Okay.”
The shadow doesn’t go away. Vera looks up, but the sun is right behind the boy and she can’t make out who it is.
“Do I know you?”
“No, but hi, nice to meet you, I’m Luca. I’m that umbrella over there.”
She looks over to where he’s pointing, at rows of identical umbrellas on the private beach.
“Vera.”
She shakes his hand when he offers it, though she still can’t really see his face.
“You from here?” he asks.
“Yes. Actually, I was just about to go home.”
“Ah. I get the hint.”
He starts to leave, but then turns back.
“It’s just that I’m on vacation with my grandparents and I’ve been with them all day… I thought I might go for a swim. You don’t want to come, do you?”
“For a swim?”
“Sorry, never mind. Probably not,” he says, noticing her shorts are still on.
Vera looks at the sea’s calm waves, the gentle foam. She knows the temperature of the water is perfect right now.
“Actually… maybe. Kinda,” she says, but doesn’t move.
“Okay.”
Luca sits next to her and doesn’t mention swimming again.
“I’m in my last year of high school. Math concentration,” he says after a few minutes.
“Arts.”
“I really suck at drawing. I’m only good with numbers.”
“I hate drawing.”
“Then why’re you doing…”
“I like photography.”
Vera turns and finally sees him: his grey-green eyes, some acne on his cheeks and forehead. He looks down.
“You look like someone who always gets good grades,” she says.
“Great. It’s that obvious?”
She turns away, hiding the hint of a smile. The sky is so clear that she can see the entire Gabicce Promontory. It’s almost as if she can reach out her hand and touch it.
“So you don’t study that much?” Luca says.
“Only when I feel like it.”
“As in never.”
“Almost never.”
“Are you failing any of your classes?”
“Math. Chemistry. History.”
“History?”
“The teacher’s a bitch.”
“I’m sure.”
“Are you being sarcastic?”
“No, no, I believe you, I believe you.”
“Whatever. I don’t give a shit if they flunk me.”
“Sounds to me like you might.”
“I guess I don’t really know what I want to do with my life.”
“Didn’t you say you like photography?”
Vera doesn’t answer. “What do you want to do?”
Luca thinks for a minute. “I haven’t made up my mind yet.”
“But you can’t wait to graduate.”
“Of course I can’t.”
“Why?”
“Because I want to get away from home as soon as possible.”
“The thought of getting away from home makes you feel better?”
“Why? Doesn’t it make you feel better?”
“I don’t know, I don’t think so.”
As she stares at the horizon, it fades, becomes almost liquid.
“I always wondered what it’s like to live near the water,” he says after a little.
Vera undoes her ponytail and slowly combs her fingers through her hair. “It’s the same as everything else that’s always there. You get sick of it after a while.”
“I’m pretty sure I’d like it.”
“Some days I don’t even come here, I don’t even feel like it,” she says as if she needs to justify herself. “Plus, the people I meet here always end up going away.”
Luca runs his hand over the sand, scoops up a handful and lets it fall through his fingers.
“Where do you want to live?”
She looks to the south. “In a place full of color, like India.”
“You’d seriously live there? All year?”
“I think so.”
“Wouldn’t you get sick of all the color after a while?”
“Maybe. I get sick of everything.” She looks up into the boy’s eyes – they seem greener now. “Do you think things’ll be better when we grow up?”
“I hope so.”
Vera looks down again. “How about you? Where do you want to live?”
“I don’t know – maybe Rimini?”
“Oh, come on!”
“No, I’m serious. I like the idea of living in a place where people go for vacation. It would make me feel important.”
“But tourists get annoying after a while.”
He laughs. “Yeah, I can think of one or two,” he says, and manages to get a smile out of her. “How about this: tell me all the things you’re not sick of yet.”
“Why should I tell you?”
He shrugs his shoulders. “Because. It’s a game.”
“Can’t think of any.”
“There’s got to be something.”
Vera pretends to consider it. “Mm, lasagna?”
“That’s a start.”
“But I guess if I had it every day, I’d get sick of that too.”
“But it hasn’t happened yet.”
“Okay, you have a point.”
“What else?”
“My cat, maybe.”
“You can come up with something better than that.”
This time Vera really thinks about it. “Listening to music with my eyes closed. I do it every night and I never get sick of it.”
Luca nods. “There, see?” He gives her a faint smile, but she’s not looking at him.
“Now it’s your turn.”
“For what?”
“Tell me three things you like to do. And don’t say studying.”
“I wasn’t going to.”
Vera glances at him to see if he’s serious but doesn’t say anything.
“Fine. Skiing. Driving. Comics.”
“You’re such a nerd,” she says. “And you’re also extremely boring.”
Suddenly she hops up, pulls off her shorts and stuffs them into her bag. She runs toward the sea.
Vera has to wade in several meters before the water reaches her waist. She hurries because she can feel Luca’s eyes on her. He’s definitely checking out her butt, or even worse, her thighs – she knows they’re too big.
Luca’s actually not looking at her at all. He’s barely made it in up to his ankles. He keeps his eyes glued to his feet because he’s scared of crabs.
She doesn’t wait. While he makes his way to her, she dives in and swims, lets the water rush through her hair, whips it back off her forehead. Every time she goes under, her swimsuit slips down a little and she has to pull it back up.
Finally, Luca joins her. They keep their bodies a safe distance apart.
“You’re a good swimmer.”
“I get by,” she says. “Unlike you.”
Luca shakes his head, laughing. “Yeah, I suck. But I have an excuse. I’m from up north.”
Vera stares at his long, thick lashes, almost like a girl’s. If she could separate his eyes from the rest of his face, he might even be cute.
“Let’s try something, but you have to go in really deep, like where you can’t touch the bottom. Wanna do it?”
He raises his eyebrows, grins, and just stares at her.
“Don’t be such a perv! Trust me.”
“Okay.”
Vera swims out further and he follows, barely keeping up. This time she slows down whenever he falls behind.
They stop at a big orange buoy anchored by a coarse rope. The buoy marks the boundary past which swimmers aren’t supposed to go, an imaginary line between the tame and the wild.
“Okay, hold on here,” Vera says, and then shows him what to do: she grabs onto the buoy with both hands and lets her legs drift out behind her, then the rest of her body so that she’s floating horizontally, her feet kicking in place like she’s running.
Luca watches and follows her lead with some hesitation. He lets one leg drift up, then the other, closes his eyes, and immediately understands what it means to give in to the water’s pull, to almost feel that his body’s no longer his, that he’s no longer in the driver’s seat.
“Sometimes when the current’s stronger, it’s almost like you’re on a ride,” Vera says. “Still, not bad, right?”
He nods.
They float that way for several minutes, their bodies barely touching, anchored to the buoy and abandoned to the sea.
Luca feels like he should say something, but he can’t quite find the words. He focuses on the sound of the waves, the cries of the seagulls, on Vera’s long hair tickling his shoulder. He tries letting his legs sink down to feel the patch of cold water a little deeper – it’s easily ten degrees cooler than right below his stomach.
Vera lets go first and without saying a word swims steadily toward shore. Before Luca catches up, she’s already wrapping herself in her towel.
“I wasn’t being totally honest before,” Vera says.
They’re sitting next to each other again on the sand, staring into space.
“I actually can think of something I never get sick of.”
She brings her knees to her chest and wraps her towel tighter because the wind has picked up and the buildings are blocking the last rays of the sun.
Luca doesn’t say anything, waiting for her to go on.
“It’s when my dad gets home from work after being gone all day. I hear him coming up the stairs, whistling something. Then he comes in and wraps me in his arms like when I was little. He picks me up and spins me around. I smell his cologne, close my eyes. It’s like I’m five years old forever and I’m not scared of anything. I never get sick of that.”
She holds onto the bottoms of her feet and rocks herself back and forth. A gentle swing.
“But sometimes he gets on my nerves when he treats me like a baby. He just doesn’t want to admit I’ve grown up.”
Luca smiles, but it’s a tiny smile he keeps to himself.
“My father’s been gone a year.” He says it as if it’s the first time he’s spoken the words out loud. “That’s why I’m on vacation with my grandparents. My mom works, and she doesn’t want to come anymore.”
“Why not?”
“’Cause she was happy here and she doesn’t want to be reminded of it.”
“Oh. I’m sorry,” Vera says, almost whispering.
“I think you just get used to things after a while,” he says, as if to himself.
Vera nods. She tilts her head and studies him. First his profile: his pointy nose, thin lips, prominent chin. Then she lingers on the specks of salt trapped between his eyelashes, those lashes that she would love to have for herself. Now’s her chance, she realizes. There won’t be a better time.
She hugs him.
She does it by scooting her butt a little in the sand and shifting her weight to one side. She wraps an arm around him while using her other hand to keep her towel from slipping. It’s not a firm embrace, only a gesture. She can smell his body, a mix of salt and boy sweat that makes her queasy.
Luca makes just one move: he puts his hand on Vera’s and rubs it, an awkward caress.
Maybe because Luca’s grandparents have seen them – or it’s just getting late – they call to him from a distance.
Vera jerks away.
“I gotta go,” he says, standing up.
They say goodbye with nothing more than a wave. Vera watches him walk away then turn back for a second as if he’s changed his mind.
But only for a second.
***
Come avevamo già anticipato, questa uscita di Abbecedari ha un legame speciale alla precedente. Qui, Marianna Vitale propone un suo racconto originale in italiano, “Confini”, tradotto in inglese da Laura Venita Green come “Boundaries”; nelle uscite del 13 ottobre e del 15 ottobre 2021, Marianna Vitale ha tradotto in italiano il racconto “Hellseer” dall’originale inglese di Laura Venita Green.
Ringraziamo la Literary Translation at Columbia (LTAC), Columbia University MFA Writing Program, e la Ugly Duckling Presse, editrice dell’antologia 2020 Word for Word Workshop ebook, concepita e stampata in edizione limitata da Matvei Yankelevich e Ugly Duckling Presse, con i racconti e le traduzioni dei partecipanti al Literary Translation at Columbia, per aver gentilmente concesso la pubblicazione del racconto e della traduzione.
***
Commento della traduttrice
“Confini” fa parte di una raccolta di dodici racconti ambientati a Rimini, che hanno come protagonisti ragazzi adolescenti. I racconti sono suddivisi per le quattro stagioni dell’anno, dalla primavera all’inverno, e si concentrano su temi tipici dell’adolescenza, come le relazioni sentimentali, le amicizie, i cambiamenti sia fisici che interiori, il rapporto con il mondo degli adulti o con il proprio futuro.
Questo racconto, che fa parte del capitolo estivo, indaga l’intimità che può formarsi tra due ragazzi che non si conoscono e che forse non si vedranno mai più.
Restituire fedelmente il modo di parlare dei ragazzi e riuscire a far emergere le personalità uniche dei protagonisti attraverso le loro stesse parole sono state la sfida e la soddisfazione più grande nel tradurlo. Il dialogo contiene riferimenti impliciti sulla vita a Rimini, la distinzione tra spiaggia libera e stabilimenti balneari, il sistema scolastico italiano e le caratteristiche del mar Adriatico. Rendere chiari questi aspetti per un lettore americano senza che il dialogo risultasse innaturale non è stato facile. I dialoghi sono ricchi di doppi sensi, sottili cambi di tono, e il non detto è spesso tanto importante quanto quello che viene detto.
***
L’autrice
Marianna Vitale è diplomata in scrittura alla Scuola Holden di Torino. Riminese, classe ’93, amante del mare e dei racconti brevi, ha pubblicato su Rivista Blam, Tropismi e sul World Literature Today, nella traduzione di Laura Venita Green. Contatti social: Facebook, Instagram.
La traduttrice
Laura Venita Green si sta specializzando in narrativa presso la Columbia University, dove tiene anche un corso di scrittura per gli iscritti alla laurea triennale. Ha pubblicato su Fatal Flaw e ha tradotto un racconto per il World Literature Today. Cresciuta in Louisiana, vive a New York con suo marito. Contatti social: Facebook, Instagram.
Copertina originale di Francesca Galli